Salute

Dal quel nostro dolce poeta di “Franciscus Frangimore”… (di Salvatore Vaccaro)

Redazione

Dal quel nostro dolce poeta di “Franciscus Frangimore”… (di Salvatore Vaccaro)

Ven, 21/03/2025 - 10:13

Condividi su:

Nei nostri poeti mussomelesi sono pochi, ed ho già scritto di un paio di articoli su “Il fatto nisseno” alla fine del 2023, tra cui, ne ho parlato sia del “Poeta Cola Cipolletti”, nonché di “Francesco Vitello”, che si trovano ancora nelle due vie, proprio lì vicino, nella Chiesa di San Giovanni Battista. Adesso, parliamoci, invece, dell’altro poeta “Francesco Frangiamore”, che si trova all’inizio, scendendoci, dalla strada tra la piccola Via Santa Rosalia, sotto dalla Chiesa di Sant’Antonio Abate, e si arriva fino alla Chiesa di Santa Maria del Carmelo. Pochissimi conoscono di quel “poetico e satirico” che risale a Francesco Frangiamore di quel tempo lontano e, comunque, cosiddetto molto particolare nella metà del 1600, cioè di quasi quattrocent’anni fa! Ne hanno scritto sulle canzoni, sulle poesie ed un poema di Frangiamore, già da Pitrè, nella fine dell’800, sulla “Biblioteca delle tradizioni popolari – volume III”, nonché dal Sorge, nel volume II, e, pure, da Vincenzo Giacaloni negli articoli da “Sicania” nel 1919/20, oltre al Mongitore, di una piccola paginetta in latino, nella Biblioteca Sicula di 320 anni fa. Sappiamo, quasi sicuramente, che Frangiamore nacque a Mussomeli nel 1607, e suo padre si chiamava allora Marco Frangiamore e che fu un “magazziniere” della contea. Mi sembra più convinto, quello già scritto da Sorge, rispetto all’altro di Giacaloni che riteneva, sbagliandoci, che suo padre fosse un notaio Domenico Frangiamore. Non a caso che dalla loro famiglia, in particolare dalla moglie Giuseppa Quintana di Racalmuto, in cui abitarono nella piccolissima casa, giù in basso, sul quartiere dei Monti. Dall’unica ed altra figlia di Caterina, sorella di Francesco, che si sposò, però, guarda caso, da quel Don Isidoro Caracciolo. Non abbiamo, poi, di tant’altre cose, o diverse, su quella famiglia di Frangiamore, anziché al Francesco che, invece, divenne con degli studi, prima all’inizio dai Gesuiti a Caltanissetta, dopo, alla sua laurea dall’università di Catania; ed in questo caso mi sembra d’accordo come ritenesse l’altro Giacaloni. Si dice, pure, come dal Sorge, che quegli studi allora erano moltissimi “severi delle leggi” di quel tempo, e che lo “resero rinomate” in Sicilia, conseguendosi il dottorato del “Diritto canonico e civile”, definitosi dal “giureconsulto” da Giacaloni, e da Mongitore che ci fosse quel “Iuris utriusque”, cioè dalla locuzione latina che significasse “nell’uno e nell’altro diritto” del civile e canonico! Da quegli studi e da quelle leggi nacquero anche da quegli “ameni delle lettere”, della letteratura, dai versi, dai poemi e dalle poesie, soprattutto in dialetto e dal “vernacolo”. Rimasero pochissime delle canzoni siciliane, e ne scriviamo alla fine di un pezzettino, anzi mussomelese, in ottave a quattro rime alterne, ma di cui ormai sono quasi definitivamente perdute, perché si sono anche modificate allora dai siciliani, ed eppure dal poeta Veneziano palermitano. Di quelle “Muse Siciliane” e dalla “Antichissima Marsala Fulminata” dai poemi nelle ottave rime, non è rimasto più niente, e non si trova nemmeno di un altro piccolo libretto del nostro Frangiamore! Da Mongitore, in cui inseriamo direttamente in latino, abbiamo pure l’elenco delle prime e seconde pubblicazioni, o meglio delle loro stamperie di quegli anni, tra cui Anselmo e dall’altro Cirilli di Palermo, e soprattutto da Giuseppe Bisagno, da Nicola Mussuto e da Giuseppe Sanclemente, anche in pseudonimo da Galeano (in latino da Galeamus)! Su  Mongitore, abbiamo pure la certezza della fine della morte di Francesco Frangiamore, in cui morì nel 1666, da quel “Decessit paulò ante annum”! Scritto da Antonino Mongitore, in latino, nella “Biblioteca Sicula” nell’anno del 1707, in cui disse che:“Franciscus Frangimore ex oppido Montismellis, vulgò Mussomeli. Iuris utriusque Doctor…inferuit literas. Etruscas, ac Siculas Musas insigniter colui et eximia cum ingenii laude cecinit. Decessit paulò ante annum 1666. Ipsius laudes Joseph Galeamus in Musis Siculis… ubi vernaacula lingua extant. Canzoni Siciliane. Panorm typis Decii Cyrilli 1647. … apud Josephum Bisagnium 1662. L’Antichissima Marsala fulminate in ottava rima. …apud Dominicum de Anselmo 1666… Rime.” Da quel dottore Francesco, fu prima definito da una “risposta arguta dalla botta spiritosa e dalla ingegnosa trovata”, ma che poi, visto che era contrarissimo ed accanito contro quei signori del feudo, fu portata nel carcere per un po’ di mesi nel castello dal Conte Ottavio Lanza di Trabia!? Non abbiamo la sicurezza di quegli anni. Forse, ma nessuno mai lo dicesse, che quel poeta Francesco amasse di quella figlia del Conte Ottavio? Chissà! Scriviamoci di quel “Iacobu alatu cu lugubri accenti/flebili grida e multi vuci fai/…Tu la notti ti lagni sulamente/ Ma lu duluri miu nun cessa mai”. Si dice pure che fosse ammalato al castello oppure a Palermo? Chi lo sa! Ma “Lu cignu canta a l’urtimi respiri/ La tarpa vidi a li so estremi guai/…Cignu, tarpa, furmica addivintai/Mi fici l’ali, ohomè, cridìa muriri/ E pi patiri cchiù moru mai/”! Tutto è vero quello che è stato scritto in quelle poesie dialettali oppure si tratta di una leggenda? Non avremo mai di quella persuasione su Frangiamore? E forse quel poeta amava l’amore di quella figlia del Conte? O solo della gente lontana del suo popolo mussomelese? Non lo sapremo mai. Voglio, comunque, immaginarci che il nostro poeta Frangiamore si trovasse in quel carcere del castello, ma che non fosse nella stanzetta delle “tri donni”, né nel cunicolo sotto della Sala dei Baroni, né nel cunicolo della stalla e nemmeno nel sotterraneo. Perché si trovasse, guarda caso, nella terza sala, con le due volte crociere, e che guardandoci, anziché dalla grande finestra della bifora, in direzione verso sud, dove non avrebbe potuto voglia di volare nel cielo o “nell’aria delle ali” in quella zona delle “grotte”, ma che aveva già pensato e deciso di uscirsene da quella piccola finestra ed in direzione verso ovest, nella parte del nostro paesino. Così, il poeta prese una lunghissima fune con delle corde enormi; si scivolò sulla roccia stranissima e quasi sul giallorossa, poi, piano piano, ad appoggiarsi e scorrersi su quei meravigliosi fichi d’india, arrivandoci decisamente su quella nostra “terravecchia” di quel sogno di Francesco Frangiamore! Non a caso, aveva già immaginato, come sopra, che quel poeta “nni fici scinniri da lu castieddu e pua nni fici addivintari comu di na furmica”!

(Una foto della medaglia di bronzo, fatta da Calogero Barba nel 1980, sul poeta Francesco Frangiamore nella bifora del nostro castello – In un altro articolo ne scriveremo pure del poeta Frangiamore su “L’antichissima Marsala fulminata”)