(Adnkronos) – Un team internazionale di astronomi ha fatto una scoperta rivoluzionaria grazie al telescopio spaziale James Webb (JWST): un antico buco nero supermassiccio “dormiente” situato in una galassia vista come era quasi 13 miliardi di anni fa. Questo risultato è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature e rappresenta una pietra miliare nell’astrofisica moderna.Coinvolti anche esperti italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), della Scuola Normale Superiore di Pisa e della Sapienza Università di Roma Il buco nero, con una massa pari a 400 milioni di volte quella del Sole, risale a meno di 800 milioni di anni dopo il Big Bang, rendendolo uno degli oggetti più antichi e massicci mai rilevati. È il primo buco nero supermassiccio non attivo osservato durante l’epoca della reionizzazione, un periodo critico dell’universo primordiale in cui il gas intergalattico è stato ionizzato dalle prime stelle e galassie. La scoperta di un buco nero supermassiccio così antico e inattivo pone nuove domande sui meccanismi di crescita dei buchi neri e sulla loro influenza sulle galassie ospitanti. Il rapporto di massa tra il buco nero e la sua galassia ospite, in questo caso il 40% della massa stellare totale, suggerisce una fase di crescita estremamente rapida seguita da un lungo periodo di inattività. Questo squilibrio ha importanti implicazioni per la comprensione della formazione stellare e dell’evoluzione galattica. “Se la crescita avvenisse a un ritmo inferiore al limite di Eddington, il buco nero dovrebbe accrescere il gas in modo continuativo nel tempo per sperare di raggiungere la massa osservata. Sarebbe quindi molto improbabile osservarlo in una fase dormiente”, spiega Raffaella Schneider, professoressa del Dipartimento di Fisica della Sapienza.
Immagine in falsi colori ottenuta dal telescopio spaziale JWST, che mostra una piccola frazione del campo GOODS-North. La galassia evidenziata nel riquadro ospita un antichissimo buco nero supermassiccio ‘dormiente’. Crediti: JADES Collaboration
La scoperta è stata resa possibile grazie alla sensibilità e alla capacità di risoluzione del JWST, che consente di osservare dettagli finora inaccessibili sugli oggetti cosmici più distanti e meno luminosi. Il telescopio, una collaborazione tra NASA, ESA (Agenzia Spaziale Europea) e CSA (Agenzia Spaziale Canadese), è attualmente il più avanzato strumento per l’astronomia infrarossa. Con il JWST, gli astronomi sperano di identificare altri buchi neri dormienti nell’universo primordiale, offrendo una nuova finestra sulle fasi precoci della crescita dei buchi neri supermassicci e sul loro impatto nelle prime galassie. Queste ricerche potrebbero risolvere alcuni dei misteri più persistenti dell’astrofisica, come la rapida formazione di buchi neri giganti poco dopo il Big Bang.
Alessandro Trinca, ricercatore post-doc oggi in forza all’Università degli studi dell’Insubria ma già post-doc presso l’INAF di Roma per un anno, spiega: “Questo squilibrio suggerisce che il buco nero abbia avuto una fase di crescita rapidissima, sottraendo gas alla formazione stellare della galassia. Ha rubato tutto il gas che aveva a disposizione prima di diventare dormiente lasciando la componente stellare a bocca asciutta”;.
Rosa Valiante, ricercatrice dell’INAF di Roma coinvolta nel team internazionale e coautrice dell’articolo, aggiunge: “Comprendere la natura dei buchi neri è da sempre un argomento che affascina l’immaginario collettivo: sono oggetti apparentemente misteriosi che mettono alla prova ‘famose’ teorie scientifiche come quelle di Einstein e Hawking. La necessità di osservare e capire i buchi neri, da quando si formano a quando diventano massicci fino a miliardi di volte il nostro Sole, spinge non solo la ricerca scientifica a progredire, ma anche l’avanzamento tecnologico”. Immagine di cover. Illustrazione artistica che rappresenta l’aspetto potenziale del buco nero supermassiccio scoperto dal team di ricerca durante la sua fase di intensa attività super-Eddington. Crediti: Jiarong Gu —tecnologiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)