Si ascoltano nenie, canti di lotta, dolcezze femminili per il piccolo figlio da cullare tra le braccia affettuose di sua madre, in una terra odorosa, attraversata dalla nostalgia che la consuma, e il racconto dell’emigrazione, vissuta come una necessità, forse, come una fuga. Calibrati arrangiamenti arabeschi riprendono gli antichi suoni di un pop locale. “Femmina”, l’ultimo lavoro di Gera Bertolone, è la narrazione curata di melodie popolari e di colti suoni della classicità, una musica appassionata che si fa musica raffinata, con un testo narrato in lingua siciliana e il contrappunto di violini e strumenti ad archi, creazione avvolgente di sogni struggenti e di voli pindarici e di speranze alimentate dal proprio amore per la propria terra nel suono fluido del suo clarinetto. Mai si era vista una Gera Bertolone così lontana e così vicina, tra la metropoli di Parigi e le campagne aspre del Vallone. E scorre il vino della memoria, il suo profumo di mosto, odori acri e fave cotte, nella terra posseduta dal ricordo, onirica sensazione di “rose e di soli, aquile e grani d’oro”, e “pane cunsatu”, religione di un sentimento famigliare e collettivo, ancora presente nell’artista che è andata via e vive la sua nostalgica lontananza da quel porto inquieto che ha lasciato. Destino e sorte di una vocazione alla libertà che si emancipa dal proprio passato, un merletto di sensazioni e di ricordi dolcissimi nella voce delicata di Gera, tra chitarre rockeggianti e sinfonie eleganti. Nei suoi testi sanguigni, il tracciato dei ricami barocchi della musica che evoca la sua terra, tessuta da melodie e ninne nanne dondolanti, come in un romanzo di formazione che libera tutta la sua dolorosa epopea di artista migrante, in un altrove pieno di gioia e di desiderio d’avventura. (Tonino Calà)