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Caltanissetta. Convegno “Le buone pratiche dell’archeologia”: tra confronto e proposte per riconoscere il diritto collettivo di godere della bellezza

Redazione 3

Caltanissetta. Convegno “Le buone pratiche dell’archeologia”: tra confronto e proposte per riconoscere il diritto collettivo di godere della bellezza

Sab, 02/11/2024 - 11:39

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In un panorama regionale scompaginato da attività tra le più disparate – telamoni ricostruiti, festini tra i templi di Selinunte, sfilate di moda nella Valle dei Templi di Agrigento e concerti rock nel Teatro greco di Siracusa – tutte tese a dare spazio esistenziale ad un turismo “guarda e fuggi”, Italia Nostra, attraverso questo convegno, ha voluto ragionare intorno alla possibilità per i nostri siti archeologici di essere riconosciuti per quello che sono: un diritto collettivo di godere della bellezza, partecipare della cultura, acquisire competenze e appartenenza ad una storia identitaria e condivisa e mitigare le disuguaglianze sociali. Per ragionare di questi temi, alcuni tra i massimi archeologi dell’accademia internazionale e italiana si sono riuniti a Caltanissetta, nella superba sede della Fondazione Sicana di SICILBANCA, rispondendo ad un invito di Italia Nostra per tre giorni di studio e confronto, dal 28 al 30 ottobre 2024. I relatori hanno illustrato e discusso della buone pratiche nello scavo, nel restauro, nella manutenzione programmata, nella musealizzazione e nella valorizzazione, con particolare attenzione ai rapporti tra siti archeologici e territorio. Il Convegno si è concluso mercoledì 30 ottobre con un “Documento” sottoscritto dai relatori. Il nostro auspicio, più volte sottolineato in questi ultimi anni, è che il patrimonio culturale della Nazione conservato nei territori siciliani possa tornare a godere dell’attenzione e della cura istituzionale.

Ad aprire il Convegno Leandro Janni, presidente del Consiglio Regionale di Italia Nostra Sicilia :

“Da cittadino nisseno, da presidente del Consiglio Regionale di Italia Nostra Sicilia non posso che essere orgoglioso di questo specialissimo, necessario convegno, di questi tre giorni di studio e confronto (dal 28 al 30 ottobre 2024) sul tema dell’Archeologia, qui, a Caltanissetta, nella prestigiosa sede della Fondazione Sicana di SICILBANCA. E dunque ringrazio vivamente il Consiglio di Amministrazione, il Presidente di SICILBANCA Giuseppe Di Forti e il Vicepresidente della Fondazione Sicana Antonio Piraino. Così come ringrazio il Segretario Generare di Italia Nostra Michele Campisi, le amiche e gli amici archeologi, gli studiosi intervenuti, per la straordinaria ideazione e organizzazione di questo evento culturale da noi fortemente voluto. Ma andiamo alla questioni meno gloriose. Non possiamo non prendere atto, oggi, dell’assenza di interlocutori politico-istituzionali. A cominciare dall’assenza dall’attuale assessore regionale dei Beni Culturali e dell’identità Siciliana Scarpinato. Lontani sono gli anni ‘70 e ’80 in cui in Sicilia c’era un dialogo fertile e autentico tra potere politico e mondo della cultura. E infatti si fecero cose buone e buone leggi, allora. Ad esempio la Legge regionale n. 80 del 1977. Oggi, siamo costretti a subire un potere politico regionale incapace di programmare, pianificare e progettare: emblematica e tragica la gestione delle acque nell’Isola. Un potere politico regionale che punta a mega-inceneritori per risolvere la “questione rifiuti”. Un potere politico regionale che non fa nulla per opporsi al proliferare indiscriminato di impianti eolici e fotovoltaici sul territorio. Un potere politico regionale che finanzia il ponte sullo Stretto e si ostina a tentare, ancora una volta, di porre in essere scriteriate sanatorie edilizie e di produrre ulteriore consumo di suolo. Questo, alla faccia del disastro ambientale, infrastrutturale e dei servizi che sta mettendo in ginocchio la Sicilia e i siciliani. Dunque, dall’ARS tre disegni di legge a favore del mattone e del cemento, tramite il “Piano casa” voluto dal ministro Salvini, tramite  il ddl che contiene la sanatoria per le case abusive lungo le coste, a meno di 150 metri dalla battigia, costruite tra il 1976 e il 1983 e tramite un ulteriore ddl sull’urbanistica che interviene anche sui piani regolatori , modificando la legge regionale n.19 del 2020.  Al primo articolo del ddl il primo inequivocabile segnale: sostituire nel testo l’obiettivo di “impedire” il consumo di suolo previsto dalla legge di 4 anni fa, con quello meno ambizioso, certamente più indefinito e ambiguo, di “contenerlo”. E poi, nell’ambito della gestione dei beni culturali e del paesaggio, il disegno di legge n. 366 del 2023 in esame all’ARS, in cui si propone il principio del silenzio-assenso nelle autorizzazioni, l’assegnazione in forma diretta della gestione dei luoghi della cultura a privati, l’affidamento di incarichi di direzione di musei e parchi archeologici sulla base di non precisati titoli ed esperienze. Che altro dire?”

Documento finale del Convegno:

La situazione siciliana e le proposte

La Regione Siciliana ha sperimentato per prima in Italia la configurazione istituzionale dei Parchi archeologici, per rendere organiche le azioni di ricerca, conservazione e valorizzazione del diffuso patrimonio archeologico dell’Isola, messo in luce e reso fruibile dalle Soprintendenze territoriali. La necessità di creare parchi archeologici scaturisce dal riconoscimento di eccezionale valore di una zona caratterizzata da importanti testimonianze archeologiche. Il carattere storico del paesaggio è il contesto di riferimento da salvaguardare come percezione nel tempo con le modifiche apportate dall’uomo; gli aspetti naturalistici derivano sempre dalla peculiarità dei luoghi, da tutelare e curare in un tutt’uno con il contesto archeologico. Ma il processo di attuazione del quadro legislativo non è stato compiuto in modo coerente e il Convegno di Caltanissetta si propone di evidenziarne le potenzialità e le criticità, al fine di prospettare le possibili soluzioni ai problemi. Occorre porre in premessa una breve sintesi dello sviluppo decennale dell’assetto istituzionale dei Luoghi della Cultura e delle Soprintendenze regionali.

La legislazione regionale di tutela del patrimonio culturale

Nel 1975 i decreti del Presidente della Repubblica diedero attuazione alla “potestà legislativa” in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, sancita dall’articolo 14 dello Statuto autonomistico del 1946. L’assemblea siciliana esercitò tale potestà nell’ambito che le era proprio, legislativo e organizzativo. Tramite un ampio dibattito aperto ai tecnici e funzionari dei beni culturali e al mondo dell’Università, i legislatori siciliani diedero vita, con la legge-quadro n. 80/1977, al sistema regionale multidisciplinare delle Soprintendenze uniche che è stato utilizzato recentemente come modello per l’amministrazione statale. Le Norme per la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana, ancora vigenti, avevano la grande ambizione di creare un circuito virtuoso tra ricerca scientifica, tutela contestuale del patrimonio e promozione culturale delle comunità locali nei diversi territori isolani. Per dare attuazione a questo modello organizzativo, la L.R. 7 novembre 1980 n. 116, dispose in modo dettagliato le competenze scientifiche e le funzioni specialistiche del “ruolo tecnico dei beni culturali”, in modo che all’interno delle Soprintendenze uniche fosse garantita la multidisciplinarietà. I direttori delle sezioni tecnico scientifiche (ambientale, archeologica, architettonica, bibliografica, storico-artistica) dovevano essere dotati di un profilo specialistico (naturalisti, archeologi, architetti, bibliotecari, storici dell’arte) e avevano piena potestà e autonomia nell’emettere il parere tecnico di loro competenza, che poi veniva controfirmato dal Soprintendente. In tal modo si garantiva la tutela olistica, globale e contestuale, del patrimonio culturale e la competenza specialistica dei funzionari preposti alle diverse tipologie dei beni culturali assicurava la legittimità degli atti emanati. L’ultima riforma legislativa del sistema regionale di tutela ha applicato questo modello di tutela territoriale contestuale al patrimonio archeologico, dettando le norme per il “sistema dei parchi archeologici siciliani”, con la L.R. 20/2000 che istituì il primo Parco archeologico e paesaggistico nella Valle dei Templi di Agrigento. Nel 2001 venne stabilito, con un decreto dell’assessore, l’elenco dei Parchi archeologici che avrebbero dovuto essere istituiti entro breve tempo. Ma, per quanto il sistema regionale sia stato antesignano anche degli indirizzi nazionali, i parchi siciliani hanno dovuto aspettare quasi due decenni per vedere la luce. Solo nel 2019 il sistema dei parchi archeologici è stato finalmente avviato con l’istituzione di 14 parchi archeologici.

Le disfunzioni amministrative: potere senza sapere

In questi ultimi decenni l’Amministrazione regionale dei beni culturali ha disarticolato con vari passaggi legislativi e organizzativi il sistema regionale di tutela, giungendo alla separazione delle Soprintendenze dal “museo diffuso” nei territori. In tal modo il modello siciliano di tutela multidisciplinare è stato lentamente snaturato, trasformando gli organi tecnico-scientifici in meri uffici burocratici, affidati a personale spesso privo delle specifiche competenze disciplinari. Questo processo di dissoluzione dell’assetto multidisciplinare delle Soprintendenze è stato portato a compimento dall’accorpamento delle cinque sezioni tecnico-scientifiche (archeologica, architettonica, bibliografica, paesaggistica e storico-artistica), operato tramite il Decreto del Presidente della Regione n. 9/2022. Con lo stesso decreto il Governo Regionale ha inoltre accorpato i Luoghi della cultura, inglobando musei archeologici istituiti dalle leggi regionali 80/1977 e 17/1991 e molte aree archeologiche demaniali nei “Servizi Parchi archeologici”. I 14 Parchi archeologici vengono così a comprendere i siti culturali di vastissimi territori (in alcuni casi i territori delle singole province), andando ben oltre i limiti che sarebbero loro imposti dalle perimetrazioni dei decreti di istituzione emanati nel corso di vent’anni, ai sensi della L.R. n. 20/2000. Si è voluto, in tal modo, separare le attività di tutela dalla valorizzazione del patrimonio culturale regionale, con la conseguenza di innescare conflittualità tra Soprintendenze, competenti sulla tutela territoriale, e Parchi, cui spetta la programmazione delle azioni di ricerca, conservazione e di valorizzazione di aree archeologiche e musei. Inoltre, è sparita completamente la competenza disciplinare sulle diverse tipologie di beni culturali: sia nelle Soprintendenze sia nei Parchi e nei Musei, infatti, il patrimonio archeologico non è affidato alla responsabilità di archeologi. Si è giunti al paradosso che la Regione, dopo aver nominato per decenni personale privo dei requisiti di legge ai ruoli di responsabilità dei beni archeologici, archivistici, bibliografici, etnoantropologici e storico artistici, un anno fa ha nominato fra i responsabili di postazioni organizzative dei BB.CC. funzionari non in possesso di laurea specialistica, individuati quali assistenti tecnici (Decreto n. 3367 del D.G. BB.CC., pubblicato il 4 settembre 2023). Abbiamo chiesto il ritiro di questo decreto con l’appello “In Sicilia ci sono ancora le Soprintendenze dei geometri?”, che ha ricevuto molte importanti adesioni. Ci si chiede se questi assistenti tecnici dovranno dare le direttive ai funzionari direttivi, archeologi, archivisti, storici dell’arte, bibliotecari, architetti che possiedono titoli specialistici postlaurea. L’assenza delle adeguate competenze nelle postazioni apicali dei Luoghi della Cultura siciliani ha prodotto non solo un grave deficit di progettazione di interventi di conservazione e valorizzazione sui beni culturali, ma anche una cattiva qualità di quelli realizzati. Sono sotto gli occhi di tutti i risultati di “Cattive Pratiche” nell’utilizzo dei fondi ordinari o strutturali impiegati dai Servizi denominati “Parchi archeologici”.

Il disegno di legge 366/2023 in esame all’ARS

Invece di porre rimedio alle gravi disfunzioni dell’amministrazione regionale dei beni culturali, sono stati proposti all’approvazione dell’ARS, nella scorsa legislatura e in quella attuale, Disegni di Legge che recepiscono, modificandola e limitandola, la normativa nazionale di tutela del patrimonio culturale contenuta nel Codice. Abbiamo segnalato con una lettera aperta al Ministero della Cultura e all’Esecutivo regionale la pericolosità delle norme contenute nel DDL 366-328/2023, attualmente in esame all’ARS. Segnaliamo le seguenti distorsioni normative: il principio del silenzio-assenso nelle autorizzazioni; l’assegnazione in forma diretta della gestione dei Luoghi della Cultura a privati; l’affidamento di incarichi di direzione dei Musei e Parchi archeologici sulla base di non precisati esperienze e titoli. Abbiamo più volte segnalato l’illegittimità di qualsiasi forma di recepimento del Codice dei beni culturali da parte della Regione Siciliana, poiché ciò si configura come travalicamento dei limiti imposti alle norme regionali dalla gerarchia delle leggi nell’ordinamento giuridico italiano. Le norme contenute nel DDL che intendono modificare il Codice sono illegittime in quanto tale Legislazione gode del recepimento dinamico, perché costituisce una riforma nazionale di carattere economico-sociale che dà attuazione ad un principio fondamentale della nostra Costituzione, l’art. 9, oltre che all’art. 117, novellato dalla Riforma Costituzionale del Titolo V del 2001.

L’articolo 9 della Costituzione

Appare scontato che qualunque strategia concernente il patrimonio culturale debba comportare una stretta e inscindibile connessione tra ricerca, tutela, valorizzazione e conseguente fruizione pubblica. Il nesso tra la promozione della cultura e della ricerca scientifica e la tutela del Paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione, nel cui ambito sono stati compresi l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, costituisce il fondamento ineludibile del dettato costituzionale dell’articolo 9.

La chiosa finale del nuovo testo precisa gli obiettivi sociali del principio di tutela, e chiarisce perché esso fu posto tra le dodici norme fondanti della nostra Carta: nell’interesse delle future generazioni. Dunque, l’articolo 9, come recentemente novellato, acclara il valore “costitutivo” dell’obbligo istituzionale di tutela e promozione della Cultura, non solo per ciascuno di noi, oggi, ma per il futuro della democrazia nel suo insieme. Pertanto, la lesione di questo principio costituente da parte della Regione Siciliana, determinata dall’incapacità di esercitare gli obblighi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale da parte degli Enti regionali preposti, a causa delle disfunzioni organizzative sopra descritte, costituisce un grave vulnus all’assetto democratico della Nazione intera, cui è doveroso porre rimedio. Il parco è dunque “archeologico” per la sua connotazione significante e per essere logicamente integrato nel suo più ampio contesto, deve partecipare propositivamente all’ecosistema che lo accoglie e lo identifica.

L’appello al governo nazionale

Per tutto quanto sopra rappresentato, dopo esserci rivolti al Governo Regionale reputiamo  necessario appellarsi con forza al Governo nazionale, al fine di ripristinare l’assetto istituzionale legale dell’amministrazione regionale dei beni culturali, affinché le Soprintendenze e i Luoghi della cultura siciliani possano adempiere agli obblighi di tutela derivanti dalla normativa comunitaria e nazionale, oggi in gran parte disattesi su tutto il territorio dell’Isola, e possano impiegare efficacemente e pienamente i fondi ordinari e i fondi strutturali messi a disposizione dalla Comunità Europea.  A tal proposito occorre far rilevare che il mancato esercizio dei compiti costituzionali di tutela del patrimonio archeologico nazionale conservato in Sicilia rende l’Italia inadempiente rispetto agli obblighi assunti con la firma della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico. La Valletta, 16 gennaio 1992, ratificata dal Parlamento italiano il 19 aprile 2015 con la legge n. 57. Occorre ripristinare l’unitarietà giuridica del sistema di tutela su tutto il territorio nazionale e restituire la dignità del proprio ruolo pubblico ai professionisti dei beni culturali in servizio presso le Istituzioni di tutela dell’Isola, non trascurando la necessaria immissione nei ruoli, tramite concorsi, delle figure professionali oramai divenute carenti a seguito dei pensionamenti. Lungi dall’essere una rivendicazione corporativa della categoria degli archeologi, il problema della professionalità tecnica riguarda infatti tutto il settore della cultura – le soprintendenze, i parchi, i musei – dove ormai mancano anche gli storici dell’arte, i bibliotecari, gli archivisti, gli architetti esperti in restauro dei monumenti e in museografia.  

Il patrimonio culturale della Nazione conservato nei territori siciliani dovrà tornare a godere della cura istituzionale, che solo organi tecnico-scientifici regionali, guidati da personale con elevate competenze professionali specialistiche e dotati di adeguati investimenti pubblici, possono assicurare.

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