Rischia di finire in carcere oggi stesso, se la Corte di Cassazione dovesse confermare la sentenza di appello, l’ex paladino dell’antimafia Antonello Montante, arrestato nel 2018 per corruzione, mentre era tra gli uomini più potenti in Italia. Dopo sei anni e due processi, oggi toccherà ai giudici con l’Ermellino decidere se, come si legge nelle motivazioni della sentenza di appello, “grazie alle sue conoscenze istituzionali”, Montante “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”. Non solo. Montante “si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”. Poteva anche contare sui Servizi segreti. Ed era persino in grado di “condizionare la politica”. Ecco perché l’8 luglio del 2022 Montante era stato condannato a 8 anni di carcere. Sei anni in meno del primo grado. I giudici d’appello parlavano di un “accordo corruttivo”. Condannati, nel 2022 anche alcuni componenti del suo ”cerchio magico”, accusati a vario titolo di corruzione, rivelazione di notizie coperte dal segreto d’ufficio e favoreggiamento. A 5 anni era stato condannato il capo della security di Confindustria Diego Di Simone (il gup gli aveva dato 6 anni e 4 mesi), a 3 anni e 3 mesi il sostituto commissario Marco De Angelis, (4 in primo grado). Assolti, invece, il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della guardia di finanza di Caltanissetta, che in primo grado aveva avuto 3 anni, e Andrea Grassi, dirigente della prima divisione dello Sco che aveva avuto un anno e 4 mesi. Montante, secondo l’accusa, avrebbe compiuto una attività di dossieraggio per colpire gli avversari e avrebbe condizionato la politica regionale. I giudici d’appello, a firma della presidente Andreina Occhipinti, giudici a latere Giovambattista Tona e Alessandra Giunta, scrivevano così nelle motivazioni, depositate dopo oltre 500 giorni dal verdetto: “Dietro la coltre fumose della locuzione ‘sistema’, tanto spesso utilizzata anche in questo giudizio, nonostante sia più appropriata alla sintesi giornalistica che non all’analisi dei fatti tipici propria della giurisdizione, si perdono i percorsi che conducono ai più qualificati appoggi dei settori politici, istituzionali ed economici che hanno reso Montante una figura strategica con un ruolo di fatto e informale non classificabile nelle ordinarie e più trasparenti categorie della politica, dell’economia e delle istituzioni”, scrivevano ancora i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza. E ancora: “Molte intercettazioni descrivono la ‘fama’ acquisita da Antonello Montante presso soggetti imputati, indagati o estranei ai fatti oggetto dell’indagine. Se ne ricava prova del fatto che in quegli ambienti e in contesti per nulla occulti o riservati erano note non solo la sua capacità di influenza nelle più alte sfere degli ambienti istituzionali ed economici non tanto del territorio, ma della Regione e del Pese. Ed era nota anche la sua complessa rete informativa”.
Il giorno in cui venne arrestato, il 14 maggio del 2018, Antonello Montante, si barricò nel suo appartamento. Nell’attesa distrusse oltre 20 pen drive e decine di documenti. Forse parte del suo archivio. Per i giudici “Vi fu una sistematica attività delle più influenti autorità nel sottolineare l’importanza” dell’impegno dell’ex Presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante “la rilevanza del suo ruolo, la necessità di dare ascolto alle sue proposte e alle sue iniziative”. Poi i giudici ribadiscono che Montante, con l’aiuto di alcuni complici, anche loro condannati, avrebbe avuto “ripetutamente accesso” alle “banche dati Sdi per procedere ad interrogazioni non autorizzate su imprenditori, politici, amministratori, professionisti, editori, giornalisti, collaboratori di giustizia, persone sospettate di appartenere alla criminalità organizzata, un magistrato, i suoi familiari e la sua autovettura”. Insomma, Montante, “era l’uomo potente che poteva garantire la possibilità di ottenere sostegno e favori, e l’accordo si basava sulla corrispettiva messa a disposizione da parte del pubblico ufficiale delle sue funzioni e da parte dell’imprenditore di ogni utile suo buon ufficio”. Inoltre, si leggeva nelle motivazioni che Montante “ha approfittato di opportunità che avrebbe potuto perseguire per coltivare ambizioni, interessi particolari e al contempo anche valori civici e obiettivi ideali e invece le ha piegate per pratiche di natura illecita, unitamente al dato della sistematicità delle condotte, impedisce delle circostanze attenuanti generiche e di qualsivoglia altra attenuante”. Un altro capitolo delle motivazioni era dedicato ai suoi rapporti con la famiglia mafiosa Arnone di Serradifalco, paese di origine di Montante. “Non voleva fare emergere pubblicamente i suoi rapporti con la famiglia Arnone”, scrivevano i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. “Si può dare per certo che aveva intrattenuto rapporti di familiarità e di affari con la famiglia Arnone. Sebbene sul punto Montante non abbia mai fatto specifiche ammissioni sull’esistenza e sulla natura di questi rapporti e sebbene allo stato degli atti non vi sono nelle contestazioni da valutare imputazioni che prefigurino che questi rapporti siano trascesi nell’illecito penale, ciò che conta ai fini del presente del giudizio è che Montante aveva cercato in ogni modo di evitare che essi emergessero e fossero sottoposti alla pubblica opinione”.
I giudici puntavano la lente di ingrandimento sul ‘cerchio magico’ di Montante. Tra questi c’è l’ex poliziotto Diego De Simone.”Il primo appartenente a questa rete era Diego De Simone Perricone, già appartenente alla polizia di Stato, assunto dalla “Aedificatio Spa”, su segnalazione di Montante, società che svolgeva servizi di sicurezza in favore di Confindustria nazionale. Di Simone Perricone, che non poteva più accedere alla banca dati si serviva di Marco De Angelis, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo”. Secondo i giudici “molti dei dati rinvenuti nella ‘stanza segreta’ dell’abitazione di Montante provenivano da questa attività di accesso illecito”. Gli accessi “venivano effettuati da Salvatore Graceffa, vicesovrintendente della Polizia di Stato, alle quali le richieste pervenivano da De Angelis”. Montante, si leggeva ancora nella sentenza “raccoglieva informazioni e le custodiva riservandosene l’uso”, “ciò era noto nella sua cerchia e tra le persone a lui vicine, l’uso che ne avrebbe potuto fare era chiaro”. E ancora, scrivevano i giudici “plurime fonti riferiscono che egli si vantava di avere a disposizione dossier, pronti all’uso”. Montate era stato giudicato in primo grado con il rito abbreviato, così il Appello gli è stata comminata una condanna a 8 anni. E’ stato in carcere per un anno e mezzo. Nel frattempo, prosegue, seppure a ritmo rallentato, anche il cosiddetto Maxi processo di Caltanissetta che vede alla sbarra 30 imputati. Già in quattro non fanno pi parte del dibattimento per intervenuta prescrizione. A questo punto ci si chiede se l’associazione a delinquere contestata a Montante reggerà oggi in Cassazione. Perché la decisione influirà anche sul maxiprocesso. Tra gli imputati l’ex Governatore Rosario Crocetta e altri politici tra cui l’ex assessora regionale Linda.
Ci sono ancora tanti misteri (Adnkronos) – Ma ci sono ancora dei misteri attorno a questa inchiesta. Nel processo devono ancora essere ascoltati gli investigatori della Squadra Mobile di Caltanissetta. E già la prescrizione è alle porte per tanti altri imputati accusati da associazione a delinquere. L’unico reato che rischia di rimanere in piedi è quello della corruzione. Nel 2021 Montante si fece interrogare per quasi per quattro udienze. Una ventina d’ore di interrogatorio, qualche centinaio di pagine di verbali. L’ex imprenditore aveva negato tutti gli episodi e gli addebiti da capo dell’associazione a delinquere con cui l’ex paladino antimafia avrebbe commesso i reati di corruzione e di accesso abusivo ai sistemi informatici. “No, assolutamente no”, aveva ripetuto per diverse volte. Alla fine dell’udienza, a porte chiuse, il suo legale disse: “Montante ha fatto presente che tutti i presidenti di Confindustria facevano richieste di informazioni a Diego Di Simone (ex capo della Security di Confindustria nazionale, coimputato al processo, ndr) e poi lui faceva un resoconto sulla base di quello che aveva trovato ma la sua fonte di informazioni non la diceva a nessuno”.