«Noi alcolisti abbiamo una malattia, potenzialmente progressiva e potenzialmente mortale». Inizia così la testimonianza di M., consapevole, oggi, del suo essere alcolista, deciso a raccontare la propria storia, di offrire la propria esperienza per sensibilizzare la comunità sul tema dell’alcolismo.
M. ha incontrato l’alcol a tredici anni durante una serata tra amici, e mentre loro si sono fermati dopo un paio di bicchieri, lui ha continuato fino a prendersi la prima sbornia. Continua M.: «Ho iniziato a bere per sentirmi uguale agli altri. E già allora davo un valore diverso all’alcol.»
Tra i tanti problemi che affliggono il mondo, vi è il fenomeno dell’alcolismo sul quale si cerca di puntare un riflettore, a tratti più accecante, per contrastarne il consumo, sempre più elevato, oggi, anche tra i giovani e, in particolare e in modo preoccupante, tra i minorenni, e la dipendenza che ne comporta.
Secondo il Ministero della Salute si definisce alcolismo “un insieme di comportamenti problematici correlati all’alcol, che portano grave disagio e compromissione della sfera relazionale, sociale e personale dell’individuo”.
Le azioni di contrasto sono state inserite all’interno del Piano nazionale alcol e salute approvato nella Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 29 marzo 2007 con durata triennale, ma le cui attività di prevenzione sono tutt’ora valide e, a loro volta, sono inserite all’interno del Piano nazionale di prevenzione 2020-2025, intesa sottoscritta il 6 agosto 2020 nella Conferenza Stato-Regioni e che rappresenta, come riportato nel sito ufficiale del Ministero della Salute, “lo strumento fondamentale di pianificazione centrale degli interventi di prevenzione e promozione della salute, da realizzare sul territorio e mira a garantire sia la salute individuale e collettiva sia la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, attraverso azioni quanto più possibile basate su evidenze di efficacia, equità e sostenibilità che accompagnano il cittadino in tutte le fasi della vita, nei luoghi in cui vive e lavora”.
Secondo l’esperienza personale di M. non è solo una malattia mentale, ma anche fisica e spirituale perché «il nostro animo è malato»; non conta come e quanto bevi, ma perché.
«L’alcol da un punto di vista mi aiutava, mi faceva sentire libero; mi sentivo fintamente più grande.»
Cresciuto in una famiglia disfunzionale, M. andava avanti insieme al desiderio di bere, anche da solo, e finalizzando la sua vita a esso, fino a trasformare anche la sua sfera sociale, poiché era arrivato a frequentare solo bevitori.
Tante sono state le opportunità perse, le persone allontanate: «L’alcolismo ti erode, prende sempre più parti della tua vita.»
Inizialmente, l’alcol non intaccava né gli studi, né le normali attività quotidiane; dopo l’università, però, pronto ad entrare nel mondo del lavoro, tra ansie e paure, desiderava bere per un motivo diverso, più profondo, intimo, non per divertirsi. «Tutto era una scusa per bere, per alleviare. Mi sentivo solo.»
Ha capito di avere un reale problema a trent’anni: «Prima di allora la sostanza non aveva ancora deciso di controllarmi, ma ero ancora io a decidere se e quando bere.»
M. conciliava qualunque sua attività con il bere compulsivo.
«Io sapevo di avere un problema, ma non sapevo come vincerlo.» E solo dieci anni dopo sono iniziati i ricoveri all’interno delle comunità, dove entrava e usciva con la convinzione di non toccare più un bicchiere. Invece, «l’alcol è un creditore che ti chiede il conto.»
«Poi, un giorno, uscito dall’ultima comunità, si è acceso un lumino, un qualcosa che mi ha detto di smetterla.» M. è passato al SERT, ha frequentato sedute di psicoterapia e poi «per dare un senso alla sobrietà» e per evitare di ricadere ancora, su suggerimento di un amico, ha conosciuto Alcolisti Anonimi: «Cercavo persone che mi potessero capire. Mi sono subito sentito accolto. Ho iniziato a frequentare le riunioni e già alla prima sentivo che quando loro parlavano, parlavano di me. Ho provato un senso di appartenenza.»
M. ha trovato un senso alla sua sobrietà frequentando le riunioni degli Alcolisti Anonimi, “un’associazione di persone che mettono in comune la loro esperienza, forza e speranza al fine di risolvere il loro problema comune e aiutare gli altri a recuperarsi dall’alcolismo”, definizione riportata all’interno del sito degli Alcolisti Anonimi Italia.
È nata nel 1935 negli Stati Uniti attraverso l’incontro tra Bill e Bob, un agente di borsa e un medico chirurgo, i quali si resero conto che condividendo, parlando della propria esperienza riuscivano a tenersi lontani dall’alcol. Fu costituito, così, il primo gruppo, moltiplicatosi negli anni e in vari luoghi. “Oggi Alcolisti Anonimi è presente in oltre 160 Paesi di tutti i continenti con più di 100.000 gruppi di autoaiuto e milioni di alcolisti recuperati” come dichiarato dal sito ufficiale degli Alcolisti Anonimi.
Il principio base è l’anonimato, poiché “esso non è dettato né dalla paura né dal pregiudizio, ma è ispirato dall’umiltà che dovrebbe caratterizzare il nostro cambiamento e dal desiderio di non apparire come singole personalità ma di essere accomunati nel medesimo percorso di recupero senza distinzioni di stato sociale, di cultura, di età, di sesso, di credo religioso”, come riportato sempre all’interno del sito ufficiale.
Il Programma è promosso dallo spirito di compartecipazione, garantito proprio dall’anonimato che evita di porre al di sopra dei princìpi la costruzione di un sistema di personalità.
Si parte dalla filosofia delle 24h dove il «prova a non bere per un giorno e se ci riesci, provaci ancora per 24 ore e così via» tenta di offrire una prima guida all’alcolista anonimo; poi i Dodici Passi – visitabili al link https://www.alcolistianonimiitalia.it/cose-aa/aa-programma/ –, e le riflessioni giornaliere, le letture del giorno.
Oggi, M. è rinato, ha dato un senso differente alla sua vita ed è pronto a ricominciare.
L’alcol divora chiunque, uomini e donne, giovani e adulti, di qualunque classe sociale ed economica o orientamento sessuale e religioso.
Il desiderio di smettere di bere può diventare azione concreta.