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Gaetano Costa jr: “Su omicidio nonno silenzi imbarazzanti”

AdnKronos

Gaetano Costa jr: “Su omicidio nonno silenzi imbarazzanti”

Mar, 06/08/2024 - 13:36

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(Adnkronos) – "In un paese normale, in varie occasioni, il processo per l'omicidio di mio nonno si sarebbe potuto riaprire, in considerazione di dichiarazioni di vari personaggi, chiacchierati e non, ma dirompenti. Invece, è calato un silenzio sospetto, a mio avviso imbarazzante. Come imbarazzante è, secondo me, tutta la vicenda mio nonno. Perché il problema è che i morti sono morti e i vivi tengono famiglia, devono fare carriera. E mio nonno era un personaggio che creava imbarazzi. Da vivo, perché faceva il suo dovere in un periodo in cui molti non lo facevano, perché era oggettivamente impegnativo, e da morto ancora di più. Perché niente si può prendere di lui senza che faccia emergere l'ipocrisia di una grossa parte della magistratura e della società civile. Mio nonno resisteva a ogni tipo di clientelismo". A parlare, in una intervista all'Adnkronos è Gaetano Costa, nipote omonimo di Gaetano Costa, il Procuratore capo di Palermo ucciso dalla mafia il 6 agosto di 44 anni fa. A margine della commemorazione in via Cavour, nel luogo dell'omicidio, in pieno centro, il nipote maggiore del magistrato ucciso dalla mafia, spiega: "In questi anni abbiamo spesso lanciato dei messaggi, anche alla magistratura, ma purtroppo, sono sempre caduti nel vuoto". Alla domanda a chi fossero rivolti quei "messaggi" Gaetano Costa junior replica: "A volte alla magistratura, perché ci è capitato di notare, con un certo sdegno, una malcelata indifferenza nei confronti di novità processuali emerse…". Nessuno è stato condannato per la morte del Procuratore Costa, nonostante si sia celebrato un processo presso la Corte di assise di Catania, che ha assolto il presunto esecutore materiale, ma ha accertato il contesto del delitto individuandolo nella zona grigia tra affari, politica e crimine organizzato. Proprio oggi, in occasione del 44esimo anniversario dell'omicidio, la famiglia del Procuratore ha pubblicato un necrologio polemico sul quotidiano della città: "Nello sconfortante oblio delle istituzioni, la Fondazione che si onora di portarne il nome, non smette di ricordare il suo sacrificio per l'affermazione dell'etica, del rigore morale, dell'amore per la libertà e la legalità, valori non solo da custodire ma da coltivare ogni giorno con senso di responsabilità e rispetto".  "Abbiamo scelto un necrologio 'particolare' – spiega ancora Costa – proprio perché vogliamo lanciare dei messaggi, speriamo che questa volta possano essere raccolti…". Alla commemorazione oggi erano presenti i vertici della magistratura di Palermo. Dal Procuratore generale Lia Sava al Presidente della Corte d'Appello Matteo Frasca, al Procuratore capo Maurizio de Lucia. Ma anche altre autorità civili e militari. Questo è il primo anniversario senza Michele Costa, il figlio del Procuratore e padre di Gaetano Costa, morto nei mesi scorsi. L'avvocato Michele Costa da sempre si batteva per la verità sull'omicidio del magistrato. Fino alla fine. Un omicidio impunito, a distanza di 44 anni, quello di Gaetano Costa. Il Procuratore, arrivato a Palermo nel '78, pochi mesi prima di essere ucciso firmò di proprio pugno una cinquantina di ordini di custodia per altrettanti boss che, altrimenti, sarebbero stati rimessi in libertà per decorrenza dei termini di carcerazione. I suoi sostituti, con una sola eccezione, rifiutarono di apporre la loro firma sui provvedimenti. Nel breve periodo di sua gestione della Procura di Palermo avviò una serie di delicatissime indagini nell'ambito delle quali, sia pure con i limitati mezzi all'epoca a sua disposizione, tentò di penetrare i santuari patrimoniali della mafia. Infatti incaricò in gran segreto l'allora colonnello della Gdf Marino Pascucci di eseguire “approfonditi accertamenti” su precisi intrecci di interessi economici, finanziari, bancari e societari su un giro di appalti miliardari gestiti dalle ditte del facoltoso imprenditore e boss mafioso Rosario Spatola. Indagini di cui aveva parlato con il suo amico, il consigliere istruttore Rocco Chinnici e i due, per evitare orecchie indiscrete nello stesso palazzo di giustizia, si davano appuntamento nell’ascensore bloccato. "E' molto strano essere qui senza mio padre – dice il giovane Costa – Sono 44 anni che aspettiamo giustizia. Sulla targa commemorativa, alle mie spalle, è apparsa la parola mafia solo l'anno scorso, dopo ben 43 anni. Mia nonna, Rita Bartoli Costa, è morta credendo nella giustizia. Mio padre ci ha provato. a me non chiedetelo". E dice: "Un processo non è importante perché restituisce giustizia, è importante perché pone un punto su una questione e quel punto permette di andare avanti. E a noi ed altri quel punto è stato negato e che ci ha circoscritto in un limbo, dove viviamo, con altre vittime, da Cassarà a Chinnici a Cesare Terranova. Morti non casuali. Perché con il loro arrivo c'era il rischio che le cose a Palermo potessero cambiare". "Durante queste commemorazioni che io vivo sempre con difficoltà – aggiunge Gaetano Costa junior- spesso si parla di eroi. A mio avviso è una trappola semantica, un errore voluto. Elevare una persona che faceva il suo dovere a rango di eroe serve subdolamente a rilanciare il tutto, e prenderei vigliacchi, quelli che non fanno il loro dovere, al rango di 'persone normali'. Questa è una storia complicata. Varrebbe la pena riaprire quel capitolo, non solo perché sono emerse molte cose ma perché in quegli anni succedevano molte cose. La storia di mio nonno non ci consente di rassenerarci". "Sappiamo che mio nonno è stato tradito dai suoi stessi colleghi – aggiunge Gaetano Costa – che avrebbero dovuto proteggerlo e che lo hanno additato alla vendetta mafiosa, come disse Sciascia. Non sappiamo se è morto per i mandati di cattura, non sappiamo se è morto per tutti quei progetti pubblici degli appalti, o per quella situazione particolare che stava vivendo Palermo, non lo sapremo mai. E ci dobbiamo convivere. Ma si può essere pessimisti ma nella volontà bisogna essere ottimisti, come disse qualcuno più bravo di me". E conclude: "Chissà se un bravo magistrato non decida di svegliarsi e riaprire il caso. Le brave persone ci sono, vedremo…". (di Elvira Terranova) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)