Questo sole, rovente, di fine luglio 2024 e di una Sicilia calpestata e amata, che tempo addietro ha attraversato le finestre di grandi penne come Sciascia, Camilleri; che ha illuminato la strada a uomini coraggiosi come Falcone e Borsellino; che ha acceso la volontà di emancipazione di donne determinate come Franca Viola e Accursia Pumilia, oggi è un fiammifero che incendia boschi, prosciuga laghi, mette in ginocchio agricoltori, partorendo una siccità che non inaridisce soltanto i campi, ma anche i cuori e la speranza di cittadini frustrati, arrabbiati, che da giorni – per molti, addirittura mesi –, tendono le mani elemosinando gocce d’acqua nelle loro abitazioni. Restano, lì, in attesa che la pioggia si decida ad arrivare, o, a scrivere la verità, aspettano, fiduciosi, che chi di dovere, di competenza o qualsivoglia definizione, nell’alto dei suoi piani, apra i rubinetti.
A Caltanissetta, nell’attesa c’è chi riempie taniche alle fontane pubbliche, chi rinuncia a mettere qualcosa in più nel frigorifero perché il costo delle autobotti equivale al costo della spesa di una settimana o anche più; c’è chi si imbarazza nel chiedere a un amico, fortunato, se può lavarsi a casa sua – velocemente, però, e con la paura che mentre si è insaponati il getto d’acqua possa interrompersi all’improvviso –, chi scrive lettere aperte, offrendo proposte, raccontando i propri disagi, supplicando di trovare una soluzione nel minor tempo possibile.
Crisi, emergenza. Queste le parole che accompagnano la parola “idrica” a cui seguono continuamente altre come “distribuzione”, “aggiornamenti”, “interruzione”, “ecco il calendario”, “tubature rotte”, “bassa pressione” e che appaiono sui giornali locali, nelle Home dei siti dei Comuni, degli Enti gestori.
È crisi o è emergenza?
E intanto i nisseni, disperati, esausti, divisi in zone fortunate ad avere acqua e non, si pongono interrogativi sul perché non vi è un’equa distribuzione, sui dissalatori, attendono risposte, lanciano appelli.
E nel vortice di una crisi o di una emergenza idrica, nei giorni scorsi, si è assistito a un grido rauco, proveniente da gole aride e stanche, che hanno reso il capoluogo nisseno protagonista di un evento che non solo è rimbalzato dalle pagine di quotidiani regionali e nazionali, atterrando sugli schermi di telegiornali che, molto probabilmente, hanno raccontato di Caltanissetta solo nel momento in cui è stata classificata come ultima città per qualità di vita, ma che ha rappresentato una risposta concreta all’invisibilità di cui è plasmato.
L’iniziativa di protestare, o per meglio scrivere, di farsi sentire, nonostante la voce asciutta per la mancanza di acqua, e di ascoltare, di accogliere, di condividere un momento comune per tentare di trovare una soluzione, nata da un «semplice cittadino», ha unito e ha dimostrato che insieme – pochi o tanti –, si può cominciare. Si può cominciare a lottare per i propri diritti, a pretenderli di averli tutelati e si può cominciare a credere e a convincersi di poter essere parte di quel cambiamento necessario a nutrire la società, a vederla trasformata scardinando pregiudizi e indifferenza.
Caltanissetta, ultima per qualità di vita, scala le classifiche di coraggio e di resistenza; resistenza che non viene intesa come ostacolo a una forza contrapposta, ma come capacità di non lasciarsi intaccare dagli effetti di una determinata circostanza, perché Caltanissetta unita, solidale, risoluta, ha saputo abbassare quelle mani tese a elemosinare gocce d’acqua per trasformarle in una voce, in un grido, in un megafono che non vuole spegnersi.