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La Mummia più antica d’Italia ha 6.600 anni e viveva sul Monte Rosa

È la mummia naturale più antica d’Italia e ha vissuto nel cuore del Monte Rosa, a 4.291 metri di quota, ben 6.600 anni fa. A quasi due anni dal suo ritrovamento, la marmotta del Lyskamm ha trovato una sua seconda casa in Valle d’Aosta. Da domani si mostrerà al pubblico nella sala delle rocce del Museo regionale di scienze naturali Efisio Noussan, nel castello di Saint-Pierre.

La piccola mummia- trovata per caso una mattina di agosto del 2022 dalla guida alpina Corrado Gaspard sulla parete est del Lyskamm- è stata accolta in una teca super tecnologica dopo potrà essere ospitata per i prossimi 500 anni. L’ambiente al suo interno è privo di ossigeno, completamente ecosostenibile e indipendente dall’energia elettrica, con la possibilità di calibrare all’occorrenza i parametri chimico-fisici, prevenendo il deterioramento dell’animale.

La scoperta costituisce per il museo un’importante opportunità scientifica. I primi a interessarsi della mummia del Lyskamm nel 2022, insieme ai ricercatori del Museo di scienze naturali, sono stati quelli dell’Istituto per lo studio delle mummie dell’Eurac Research di Bolzano, che hanno collaborato alla definizione delle procedure per il recupero e successivamente ad assicurare la conservazione del reperto, una volta portato nei laboratori del museo. Sempre in collaborazione con l’Eurac Research sono stati ottenuti i primi dati, tra cui la datazione al radiocarbonio che lo fa risalire al medio olocene, circa a 6.600 anni fa.

Sulla base di questo lavoro congiunto, la Regione Valle d’Aosta ha riunito nel 2023 un’equipe di archeologi, biologi, genetisti, glaciologi, naturalisti e veterinari, sotto il nome di “The Marmot Mummy Project”. Il loro obiettivo è fornire una risposta agli interrogativi nati dal ritrovamento a oggi, e di quelli che continueranno a sorgere nel futuro. Diversi gli istituti e gli enti di ricerca coinvolti, oltre al Museo di Scienze naturali e all’Istituto per lo studio delle mummie dell’Eurac, le Università di Torino e Milano, la Fondazione Montagna Sicura, la Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Valle d’Aosta, l’Istituto di Scienze Polari del Consiglio nazionale di Ricerche (Cnr-Isp) di Messina.

A sorprendere i ricercatori è stato lo stato di conservazione del reperto che, oltre allo scheletro, ha mantenuto intatti anche i tessuti e la pelliccia. Si tratta probabilmente di una femmina morta in giovane età. I primi studi sul profilo genetico dell’animale hanno dimostrato che le marmotte di 66 secoli fa non erano poi così diverse dalle nostre. “Il Dna della specie si è modificato poco e lentamente e, ciononostante, la marmotta è riuscita comunque a sopravvivere all’era glaciale- spiegano i ricercatori-: un’eccezione per il regno animale, poiché una bassa variabilità genetica è spesso associata a un elevato rischio di estinzione, come nel caso del gorilla di montagna, dell’orso polare artico e della lince iberica”.

Di particolare interesse scientifico è anche la quota a cui è stata trovata la mummia che può fornire “utili indizi sull’evoluzione dell’ambiente alpino e sul clima- proseguono i ricercatori-. Ciò che oggi appare dominato dai ghiacciai, poteva non esserlo in passato e non lo sarà probabilmente in futuro, visto il severo contesto di cambiamento climatico che stiamo vivendo”.

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