Nella vita si vince e si perde, mai esaltarsi troppo per la vittoria, arrivando ad infierire sugli avversari, o, in caso di sconfitta, attaccare i vincitori.
Chi conosce il Rugby sa che la celebrazione degli sconfitti è una regola non scritta, ma rispettata, come anche il complimentarsi con chi vince.
Viene definito terzo tempo.
Al fischio finale, i giocatori delle due squadre si abbracciano e congratulano reciprocamente, chi vince crea un corridoio per applaudire e far applaudire dal pubblico l’uscita degli avversari.
Per gli sconfitti è anche un modo per riconoscere la superiorità dell’avversario, l’accettare il verdetto del campo, il chiudere le polemiche, ma soprattutto c’è l’orgoglio di essere rimasti in campo fino alla fine lottando con dignità.
Il Rugby si sa è molto duro, dove nessuno regala nulla all’avversario, colpi bassi compresi, ma non c’è maggior rispetto per i colori che si indossano di quello di giocarsela fino in fondo, anche a risultato raggiunto, e chiudere il tutto al fischio dell’arbitro.
Si gioca dando il massimo in modo che l’orgoglio non sarà mai ferito, consapevoli di aver fatto il possibile e che magari la prossima volta, riprovandoci, possa andare diversamente.
Vincere impone però rispetto per l’avversario sconfitto.
Il coach, il capitano e chi ritiene di far qualcosa di utile per la squadra deve sempre favorire questi atteggiamenti ed essere un esempio anche per la tifoseria, anche quella più calda.
Non è un caso infatti che nelle partite di Rugby difficilmente avvengano risse sugli spalti.
Il Rugby ci insegna ad essere umili nel successo e a riconoscere il merito dell’avversario.
In politica invece si analizzano ed enfatizzano le vittorie, le proprie, ma raramente si arriva al terzo tempo; arrivano magari delle parole, spesso di circostanza, ma il coach, o chi per lui, molto di rado riconosce meriti allo sconfitto e, cosa peggiore, difficilmente mette a tacere la tifoseria chiedendo rispetto.
La sconfitta, è chiaro, lascia sempre l’amaro in bocca, nessuno ci sta a perdere, ma spesso la ricerca del colpevole, di colui che ha sbagliato o che non è riuscito a compattare il gruppo, non è obbligatoriamente l’unico vero responsabile.
Così come nello sport le colpe della perdita di un campionato hanno radici lontane, partono dalla preparazione del precampionato, agli acquisti, alla rosa a disposizione ed anche all’allenatore, a cui si affida la squadra, in politica in maniera similare le colpe di una sconfitta vanno ben distribuite.
La cosa più importante, in caso di sconfitta, infatti non è trovare il capro espiatorio e magari crocifiggerlo, in fondo una squadra non perde mai un campionato solo per colpa del singolo giocatore.
Cosa saggia da fare in caso di sconfitta è quella di riunirsi, guardarsi tutti negli occhi, ammettendo che la sconfitta si poteva evitare se solo ci si fosse allenati meglio e magari con meno presunzione, pensando cioè di essere i migliori.
Forse, se si fossero ascoltati anche suggerimenti, consigli, su nuovi innesti e se non si fossero persi per strada giocatori che potevano fare la differenza nel finale di campionato, ostinandosi invece a tenere in squadra giocatori di livello inferiore, sicuramente bravi, ma non per giocare in quella squadra, che aveva alti obiettivi…forse le cose sarebbero potute andare diversamente.
Chi perde deve sapere accettare soprattutto con dignità, rispettare i vincitori, accettare la sconfitta e non cercando, pur di vincere o vendicarsi, passare magari con la squadra che pensa essere la vincente, dando nel mentre lezioni di moralità, correttezze ed altro ancora, il tutto lascia l’amaro in bocca due volte.
Ma se alla fine si da la colpa solo alla terna arbitrale o alla tifoseria ostile, non facendo un bel “mea culpa”, allora forse è meglio che certe squadre non partecipino proprio a certe competizioni.
Sicuramente gli atteggiamenti dei giocatori di Rugby, non salverebbero il mondo, ma probabilmente lo renderebbero migliore e la gente andrebbe più volentieri e più contenta allo stadio. Ad Maiora