Roberto Saviano dà voce al suo romanzo d’esordio, Gomorra, in esclusiva su Audible dal 5 maggio, ma se tornasse indietro, a 18 anni fa, quando uscì quello che è diventato un bestseller mondiale, “farebbe tutt’altra cosa”. “Dovevo farlo con più prudenza. Potevo farlo dando meno spazio all’aspetto d’inchiesta, ma più a quello letterario, culturale” dice all’ANSA lo scrittore alla vigilia della chiusura del Salone del Libro di Torino 2024.
“Comunque è lì adesso. Potevo farlo leggere a un attore e invece volevo passare per questa tortura. Tornare nel luogo e nello spazio che tanto mi aveva determinato e che mi ha così devastato. Io e Gomorra siamo indissolubilmente legati. Per anni ho cercato invece di slegarmi, ma mai davvero. È un’ossessione lo studio di queste dinamiche e potere”. Che effetto ti ha fatto tornare a Gomorra?
“Ho provato tutte le emozioni possibili, dalla nausea all’odio vero, alla nostalgia, al rinnovo del dolore che avevo provato, poi alla riconciliazione, forse, non ne sono ancora sicuro. Leggerlo ha significato ritrovarlo, non solo subirlo questo libro, non l’ho mai fatto in tutti questi anni. Non lo tengo nenache in casa. Mi ha distrutto la vita” spiega Saviano poco prima della presentazione.
“Era impensabile, nessuno poteva immaginare una conseguenza così, non stava dentro il novero delle possibilità razionali che un libro potesse generare una dinamica così feroce di attacco. Ma è dovuto anche il fatto che il mondo di cui parlavo non aveva mai avuto una luce di questo tipo”. Cosa lo ha fatto diventare un bestseller internazionale? “Sembra paradossale, ma ascoltando l’audiolibro ti rendi conto che è l’ibrido che ha reso tutto più accessibile. Non è un saggio accademico scientifico, non è un romanzo di fiction, non è un giallo e non è un reportage, ma è tutte le cose insieme. Questo ha permesso più accessi per cui chi legge il romanzo sente però che sta raggiungendo delle verità storiche. Chi cerca di accedere attraverso il saggio ne gode dello stile letterario. Chi vuole il reportage lo guarda e riesce a trovare anche la dinamica economica e storica. Questo equilibrio così strano, una bestia strana, nell’audio si sente ancora di più perché cambiano i ritmi, a un certo punto c’è una cosa in prospettiva con la mia voce e poi i dati. Nell’audio è ancora tutto più forte, tellurico”.
Circa trenta le ore impiegate a leggerlo. “Un incubo perché devi stare con le tue parole tanto tempo. Poi c’è stato un momento di riconciliazione. Ho avuto una incredibile nostalgia per la mia vespa nera che ancora esiste, nel garage di mio fratello. Un incredibile nostalgia per il me di quegli anni. Una cosa che mi ha stupito, ho ritrovato completamente identica la mia scrittura. Gli scrittori quando leggono cose del passato non si riconoscono. Non mi piace essere fedele mai, ma non ho tradito la mia scrittura”. Cosa è cambiato in questo ventennio?
“Tanto. L’attenzione verso questi temi oggi è tornata identica a quella di 25 anni fa. Ma le conseguenze della luce e del dibattito sono evidenti: da Napoli città di guerra a Napoli città del turismo. Tutti quelli che mi hanno accusato di aver diffamato la città hanno oggi la prova di aver detto una cazzata. Oggi è la città con più B&B in Italia, più di Venezia. Questo significa che se io la avessi davvero diffamata da Napoli le persone scapperebbero o sarebbero diffidenti e invece c’è la corsa a viverci. Questo perchè? Perché quando tu accendi una luce di comprensione non devi mai temere di mostrare l’orrore, la ferita, la contraddizione. Ciò che si apre alla comprensione attrae”.
Insider nel palinsesto Rai, una piccola vittoria? “Tutto merito dell’Associazione Familiari delle Vittime di Mafia, di Articolo 21 e WikiMafia perché dal primo minuto non hanno mai smesso di martellare per ottenere una risposta: perché lo avete bloccato?”. Altri progetti? “Sto lavorando a un altro podcast con tema internazionale. Sto portando a teatro il libro Noi due ci apparteniamo con lo spettacolo Appartenere in cui racconto il concetto di appartenenza”. Le prossime elezioni europee? “Dobbiamo votare. Stiamo andando incontro a un rischio che le destre si facciano interpreti uniche della sofferenza sociale”. (Mauretta Capuano, Ansa)