Il rapporto tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde, subito dopo la strage di Via D’Amelio, “era vietato dalla legge”, “inquietante alla luce delle dichiarazioni che ha fatto Antonio Ingroia”, e “non produce nessun utile elemento per l’accertamento della verità né è una tessera del mosaico delle stragi”. A dirlo è il pm di Caltanissetta Maurizio Bonaccorso, nel corso della requisitoria del processo sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio a Caltanissetta.
Alla sbarra tre poliziotti: Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Sono accusati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra, per aver spinto Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, a dichiarare il falso sulla strage, autoaccusandosi e indicando come colpevoli altre 7 persone. In primo grado la caduta dell’aggravante mafiosa ha fatto scattare la prescrizione per i primi due mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non costituisce reato.
Il giorno dopo la strage di via D’Amelio, l’allora procuratore capo di Caltanissetta, Gianni Tinebra, chiamò l’allora capo dei servizi segreti Bruno Contrada per chiedergli di ”dare una mano alle indagini sul botto” che uccise Paolo Borsellino e cinque uomini della scorta. A raccontarlo in aula era stato nel 2019, al processo di primo grado per il depistaggio sulle indagini sulla strage, lo stesso Contrada, che fu sentito dalla procura come teste assistito da un legale. ”Ho avuto una conversazione con il procuratore di Caltanissetta Tinebra il 20 luglio 1992 – aveva detto Contrada – lui mi chiese di contribuire alle indagini, ma tra le varie cose che gli prospettai e le varie obiezioni che avevo fatto alla sua richiesta di collaborare alle indagini, la cosa principale era che non ero più nella polizia giudiziaria. Avevo anche obiettato che non avrei intrapreso nessuna attività sul piano informativo, perché quello era il mio compito, se non d’intesa con gli organi di polizia giudiziaria interessati, sia della Polizia che dei Carabinieri”. A fare da tramite tra il procuratore e il numero tre dei servizi fu l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi. ”L’incontro con Tinebra fu il giorno dopo la strage e non dopo mesi – disse ancora Contrada – È chiaro che era una vicenda complicata e serviva un’indagine a largo respiro”.