Il Sistema Sanitario Nazionale sancisce il diritto alla salute come diritto inalienabile della persona, che non può essere condizionato al lavoro o alle disponibilità economiche. Non essere condizionato al lavoro vuol dire che tutti hanno diritto all’assistenza indipendentemente che siano occupati o no, perché viene finanziato dai cittadini che pagano le tasse. E’ fondato sui principi di universalità, uguaglianza ed equità che, in sostanza, significa che ciascuno di noi ha diritto di essere curato, di avere tutte le cure necessarie, nella stessa maniera. Purtroppo il continuo definanziamento del SSN sta portando ad una strisciante, ma sempre più invasiva, privatizzazione della sanità. Attualmente circa un quarto della spesa per l’assistenza sanitaria è pagato direttamente dai pazienti, con risvolti gravi su chi non ha condizioni economiche tali da consentirgli di pagare le prestazioni, che spesso rinuncia alle cure. Fatte queste premesse generali analizziamo quali sono le condizioni sanitarie del nostro distretto, che comprendono l’ospedale e il poliambulatorio. Dalla sua apertura ad oggi il nostro ospedale ha subito una enorme riduzione dei posti letto: nel 1978, anno della sua apertura, disponeva di oltre 140 posti letto , nel 2010 sono stati ridotti a 75, allo stato attuale sono 48, di cui 34 per acuti e 14 per cronici. Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 è stato chiuso il punto nascita e poco dopo la pediatria. Nel Piano sanitario regionale del 2019 l’ospedale è stato dichiarato ospedale di zona disagiata e le unità operative sono state modificate passando da unità complesse, che prevedono un direttore (quello che una volta era il primario ), a unità semplici dirette da un dirigente. Così l’ospedale non è attrattivo come era in passato, quando professionisti (i primari di allora) desiderosi di far carriera si trasferivano volentieri a Mussomeli e portavano la loro esperienza di centri più grandi e più importanti. Il primo danno che è stato fatto è la perdita di attrattività dell’ospedale, non solo per i vertici ma anche per i semplici dirigenti. Un tempo lavorare in ospedale era un vanto, ora tale ruolo non suscita appeal. La principale criticità dell’ospedale è la mancanza di anestesisti, che condiziona negativamente l’attività delle unità operative chirurgiche. A fronte di una normale e di buon livello attività della ortopedia, assicurata dall’unica anestesista presente, la chirurgia è stata ridotta ad attività di day surgery, chirurgia di un solo giorno, naturalmente per le patologie meno impegnative. La identificano come chirurgia a ciclo diurno, dal lunedì al venerdì, solo nelle ore antimeridiane. Non sono assicurate le urgenze e men che meno le emergenze; quegli interventi che possono salvare una vita! Ed essendo di chirurgia “ambulatoriale” le disposizioni date dai vertici aziendali, chi volesse fare di più ne avrebbe delle responsabilità personali. Eppure, con l’arrivo dei nuovi chirurghi, il reparto ha medici in numero sufficiente, personale parasanitario, attrezzature, locali e posti letto disponibili e potrebbe lavorare a ciclo continuo. Questo è il salto di qualità da fare! Di recente abbiamo salutato con piacere l’esecuzione di alcuni interventi in videolaparoscopia, tecnica diffusa da tempo in tutte le unità di chirurgia che si rispettino, mai praticata a Mussomeli se non per brevissimi periodi. In ogni caso complimenti agli operatori per avere finalmente rotto questo tabù, ed assicurato anche un miglioramento della assistenza rispetto al recente passato. E’ come se uno avesse una automobile con un buon motore, funzionante, ben gommata e dovesse camminare solo per le strade del paese senza potere andare lontano. Si potrebbe risolvere il problema della mancanza di anestesisti continuando a mandare un anestesista dall’ospedale principale come fatto fino a non molto tempo fa, o stipulando delle convenzioni con altre aziende sanitarie di valenza regionale o policlinici, dove il personale non manca, spostandolo negli ospedali periferici per favorire la normale attività operatoria. Anche la pediatria opera in regime ambulatoriale, nelle ore antimeridiane senza possibilità di ricovero dei piccoli pazienti; le urgenze e le emergenze comunque non vanno mai in vacanza. In queste situazioni aumenta il numero dei pazienti che vengono trasferiti altrove, anche lontano, con aumentato rischio per i pazienti e disagio per le famiglie. Se è vero che a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia, credo che ci sia un tentativo di farci mitridatizzare al disagio, di farci assuefare e rassegnare a questo tipo di assistenza ambulatoriale, senza stimolare una reazione. In ospedale vanno bene i cal di oculistica, di emodialisi e di endoscopia digestiva da poco riaperto. Funziona bene la medicina generale. Aspettiamo di vedere funzionare al meglio anche la lungodegenza e la riabilitazione. In tutta l’area del distretto di Mussomeli non è assicurata alcuna assistenza ostetrico-ginecologica essendo stato chiuso il punto nascita dell’ospedale ed anche il consultorio familiare presso il poliambulatorio. Alla perdita di questi posti letto non è corrisposto un aumento di posti negli ospedali più vicini. Manca un collegamento con l’ospedale di Caltanissetta così che tante gravide vanno a partorire in altre città, provocando anche un danno economico alla nostra asp che dovrà corrispondere il costo delle prestazioni. La riduzione dei posti letto degli ospedali fu giustificata da un lato con il miglioramento delle tecniche interventistiche che riducono in maniera significativa i tempi di degenza e aumentano il turn over dei pazienti, e dall’altro con la necessità di cambiare la sostanza dell’assistenza trasformandola da ospedalocentrica a territoriale. Finora il risultato è che i servizi ospedalieri sono stati ridotti e quelli territoriali pure! Se Atene dunque piange, Sparta non ride ; carenza di specialisti c’è anche al poliambulatorio, dove, al momento, mancano il cardiologo, il diabetologo, il dermatologo, l’endocrinologo, il reumatologo, il nefrologo, l’assistenza psicologica e la fisiokinesiterapia, che è stata trasferita presso l’ospedale ed inglobata nel reparto di riabilitazione. Manca quasi il 50% della assistenza specialistica! Tutto ciò ci dà l’idea di una desertificazione dei servizi sanitari che porta come conseguenza il formarsi di lunghe liste di attesa, il ricorso al privato o la rinuncia alle cure! Perciò è stato redatto un piano nazionale di governo delle liste di attesa, che è stato recepito dalle regioni e dalle singole asp, che prevede una razionalizzazione (che brutta parola) delle prestazioni in relazione alle effettive necessità stabilite dal medico di medicina generale, ma anche delle norme di salvaguardia per quei pazienti che dovessero vedere non rispettati i tempi di soddisfazione di loro bisogni sanitari. Per fortuna esistono delle associazioni che si battono con vigore per il rispetto dei tempi delle prestazioni sanitarie alle quali i cittadini si possono rivolgere per la tutele dei loro diritti. Nel nostro distretto è stata presentata la APS “ Noi per la salute” che è molto attiva nel supportare i pazienti nel presentare i reclami all’asp in caso di prenotazioni di visite o esami in tempi più lunghi del previsto, che offre un servizio completamente gratuito. Alla luce di tutto ciò mi chiedo: gli assessori alla salute dei paesi componenti il nostro distretto sanitario conoscono queste criticità assistenziali o non ne hanno notizia? Fanno un monitoraggio della situazione sanitaria della zona? Hanno mai preso contatti con il dirigente del distretto e con la unità operativa di cure primarie che è responsabile dell’assistenza territoriale per chiedere loro di intervenire alla risoluzione del problema? E i sindaci conoscono le limitazioni di servizi che esistono nella nostra zona? E possono intervenire attraverso lo strumento della conferenza dei sindaci e dall’alto del loro ruolo politico? E i presidenti dei consigli comunali ritengono utile la convocazione delle loro assemblee per una discussione globale sull’assistenza sanitaria della nostra zona? Io mi auguro che ci sia una analisi seria delle problematiche sanitarie e soprattutto che i cittadini bisognosi di cure non si rassegnino al fatalismo. (Dr. Mario Difrancesco)