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Uccise sua sorella, Alberto Scagni massacrato di botte nella sua cella

L’hanno massacrato di botte, Alberto Scagni. Prima a mani nude, poi con uno sgabello e infine con una sedia picchiando talmente forte da spezzargli le ossa del viso. Se gli agenti della Penitenziaria, autorizzati dal magistrato di turno e dalla direzione del carcere di Sanremo, non fossero intervenuti con la forza, Scagni sarebbe morto. Alberto Scagni, condannato a 24 anni e 8 mesi di carcere per l’omicidio di sua sorella Alice, uccisa con 17 coltellate nell’aprile del ’22, secondo quanto riferito dai sindacati della Polizia penitenziaria è stato aggredito da due detenuti maghrebini che dividevano la cella con lui: i due, in carcere per violenza sessuale, erano entrambi ubriachi a causa del siero ottenuto dalla macerazione della frutta, probabilmente sotto l’effetto di droghe. I due detenuti prima hanno ‘sequestrato’ il quarto occupante della cella chiudendolo nei bagni perché non potesse intervenire poi hanno cominciato a torturare Scagni con una lama.

L’uomo infine è stato bagnato perché accusasse ancor di più i calci e infine è stato picchiato con uno sgabello e con una sedia. I due sono stati fermati dalla Polizia penitenziaria che, autorizzati dal magistrato a usare la forza, sono entrati nella cella con scudi e manganelli. Protezioni che non sono servite a un agente che è rimasto ferito. Per lui due costole rotte e 21 giorni di prognosi. Scagni è stato immediatamente soccorso e trasferito in un pronto soccorso in condizioni critiche. Nel pomeriggio è stato operato nel reparto maxillofacciale dell’ospedale Borea di Sanremo dove si trova tuttora, piantonato, in coma farmacologico nel reparto di Rianimazione. I due detenuti maghrebini sono stati arrestati per tentato omicidio e sequestro di persona e la procura di Imperia ha aperto un fascicolo per gli stessi reati. Resta da capire il perché di questo pestaggio. Non è la prima volta che Scagni viene picchiato in carcere. Era già successo a Marassi, dove si trovava subito dopo la condanna. Era l’ottobre 2023. Il suo compagno di cella, un detenuto romeno, trovò un ritaglio di giornale che descriveva per filo e per segno l’omicidio di Alice Scagni. Aspettò il rientro dell’uomo poi lo picchiò più e più volte, anche quando Scagni sfinito dalle botte era caduto a terra. Anche in quel caso intervenne la polizia penitenziaria a salvargli la vita. Così la direzione del carcere decise di mandarlo prima in una cella singola poi di trasferirlo a Sanremo, nella sezione dedicata ai detenuti che, per la qualità dei reati compiuti, non debbono rimanere a contatto con altri. Così Scagni è finito in una cella da quattro, con tre detenuti maghrebini che devono scontare pene per violenza sessuale. Ma perché, considerato il tipo di reato per cui è stato condannato e visto che già era stato aggredito, non è stato messo in una cella singola? il suo avvocato, Mirko Bertoli, ha risposto così: “bella domanda, È quello che ci domandiamo tutti”. (ANSA).

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