A distanza di quasi una settimana da quando la sua fuga è finita, senza benzina in autostrada vicino Lipsia, e proprio nella giornata contro la violenza sulle donne Filippo Turetta è stato portato in Italia ed è entrato nel carcere di Verona. Se deciderà di confessare e collaborare nell’interrogatorio davanti al gip martedì, potrà chiarire molti aspetti al vaglio nelle indagini, come le cruenti modalità dell’aggressione a coltellate, calci e spinte e l’eventuale premeditazione dell’omicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, il cui corpo venne ritrovato sempre una settimana fa, dopo quasi sette giorni di ricerche. Diversi gli elementi che potrebbero portare la Procura di Venezia a contestare la pianificazione del delitto, tra cui pure quei teli di plastica che avrebbe portato con sé per coprire il corpo. “E’ molto, molto provato, disorientato, anche se con lui sono riuscito ad avere un’interlocuzione accettabilmente comprensibile ed è in condizioni di salute accettabili”, ha spiegato l’avvocato Giovanni Caruso, dopo il primo colloquio. Il ragazzo, ha aggiunto, “non ha detto sostanzialmente nulla, non abbiamo affrontato i dettagli. Di fronte a una “vicenda così drammatica e tragica c’è stato un momento di presentazione reciproca”. Barba incolta, silenzioso, con un atteggiamento rassegnato e dimesso, occhi assenti e del tutto disinteressato a ciò che gli stava accadendo intorno. Così è apparso stamani agli agenti del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia che lo hanno preso in consegna dalle forze di polizia tedesche a Francoforte. Era ammanettato alle mani e ai piedi, come è prassi per motivi di sicurezza in Germania per le estradizioni dei detenuti che potrebbero fare gesti inconsulti e che sono ritenuti pericolosi. In carcere ad Halle aveva già detto, in sostanza: “ho ucciso la mia ragazza, volevo ammazzarmi ma non ho avuto il coraggio”.
Il volo militare è atterrato a Venezia verso le 11.30 e circa tre ore dopo, concluse le procedure formali come la notifica dell’ordinanza cautelare per omicidio volontario aggravato e sequestro di persona, scortato dai carabinieri e su un’auto ‘in borghese’ coi vetri oscurati ha varcato le porte del carcere. Qualche curioso all’esterno ha avuto il tempo di insultarlo: “sei un maledetto”. Tutto il percorso è stato seguito passo passo da cronisti, fotografi e troupe televisive, con ampia presenza di forze dell’ordine. Per la direttrice del carcere Francesca Gioieni lui è un detenuto come tutti gli altri. “E’ normale, tranquillo”, così lo ha descritto, chiarendo che è stato trattato “come tutti i nuovi che arrivano”, secondo “le procedure normali per tutti: attenzione, cautela, visita medica, immatricolazione”. Gioieni ha sottolineato che “ci sono delle procedure per i nuovi giunti che l’amministrazione penitenziaria ha per il pericolo suicidi, le poniamo in atto per tutti” e poi si “cerca di fare un’attività di trattamento individualizzato”. E’ stato subito collocato nel reparto infermeria per valutazioni da parte dell’equipe, con tanto di primo colloquio di sostegno con uno psichiatra prima dell’incontro col difensore. Nel reparto potrebbe stare qualche giorno prima di essere trasferito nella sezione “protetti”, dedicata ai detenuti accusati di reati a “forte riprovazione sociale”, come i “sex offender”, e che prevede che non abbiano alcun contatto, a loro tutela, con detenuti per altre tipologie di reati. Turetta sarà anche sorvegliato a vista 24 ore su 24 per evitare gesti autolesionistici. “E’ adeguatamente assistito e protetto in un carcere di grande sicurezza”, ha fatto presente l’avvocato che probabilmente tornerà ad incontrarlo lunedì dopo aver letto gli atti. Potrà vedere i suoi genitori dopo l’interrogatorio col giudice. Gip davanti al quale dovrà rendere conto, se non sceglierà la linea del silenzio, del perché ha tolto la vita a Giulia, ad un passo dalla laurea e che provava a stargli vicino per “paura”, così confidava, che lui si facesse del male dopo la fine della relazione. E’ “un uomo senza empatia”, che ha “lucidamente eliminato la sua ex” per “punirla per quello che lui ha considerato un atto di insubordinazione”. Per questo il legale della sorella Elena, Nicodemo Gentile, vuole che sia riconosciuta anche l’aggravante dei “motivi abietti”. (ANSA).