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Borsellino, Antonio Di Pietro: “Zona grigia usa tritolo o delegittima”

La Procura di Milano “ha indagato eccome su mafia e appalti” (ma non sul dossier mafia-appalti del Ros), e la “zona grigia” emersa da quell’intreccio potrebbe aver fermato Paolo Borsellino con il tritolo cosi’ come ha “delegittimato” Antonio Di Pietro con un’attivita’ di dossieraggio. E’ il racconto che lo stesso ex magistrato di Mani Pulite ha fatto nel corso dell’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie, chiamata fin dal suo insediamento ad approfondire, in particolare, se all’origine della strage di via D’Amelio vi siano gli intrecci tra mafia e appalti poi condensato nel rapporto del Ros.

 L’ex magistrato ha raccontato delle sue visite al ministero della Giustizia, quando Giovanni Falcone dirigeva gli Affari penali. Il magistrato poi ucciso a Capaci “ha seguito direttamente l’inchiesta Mani pulite perche’ da lui passavano, al ministero, le richieste di rogatoria”. Falcone, ha aggiunto Di Pietro, “mi diceva di seguire il denaro, appalto per appalto, rogatoria per rogatoria: teneva moltissimo all’inchiesta sugli appalti”. Di Pietro, pero’, ha precisato di non aver saputo nulla del rapporto del Ros su mafia e appalti del 1991 “ne’ alcuno me ne ha parlato fino a quando non sono stato sentito in sede giudiziaria a Caltanissetta nel 1990, a Palermo nel 2019 e poi nella commissione Antimafia dell’Ars nel 2021”. “Mafiopoli e Tangentopoli – ha spiegato Di Pietro – sono due facce della stessa medaglia”, ma se nel resto d’Italia “il boccino era paritario”, a Palermo “chi non seguiva quell’ordine faceva la fine di Lima”.

Antonio Di Pietro ha descritto come furono evitati i conflitti di competenza con Palermo, quando emergevano gli intrecci tra mafia e appalti. “Per la Procura di Milano – ha detto – la figura di Caselli dava l’idea di un’aria nuova, dati i rapporti con la procura di Torino. Quando Palermo mise il paletto della competenza territoriale, Borrelli mi disse che su Caselli si poteva contare. Io non volevo cedere gli interrogatori di imprenditori che riconducevano al formato” del sistema degli appalti. “Se in altre parti di Italia – ha continuato – c’era il sistema appalti-politica, il cui mediatore era un faccendiere e un ‘cartello’, a Palermo c’era il tavolino con un signore che, come un giudice di pace, assicurava che la quota del 20% andava alla cassa comune. Su questo stavo indagando: Siino gestiva gli appalti per conto della mafia, ma c’era stato, quando indagavo, un cambio di ruolo e Siino era stato defenastrato da Filippo Salamone. Cannai io ma cannarono pure i Ros: S. non era Siino, ma Salamone”. Di Pietro ha riscostruito un incontro tra i vertici delle due procure: da palermo – ha detto – giunsero “Caselli, Lo Forte, Ingroia”. Poi vi fu “una cena a casa di Borrelli” e “giungemmo a un compromesso: si concordo’ che a Palermo venvano trasferite le informazioni acquisite, e io avrei comunque continuato a indagare: quando avessi acquisito informazioni su Palermo, le avrei trasferite ai colleghi siciliani. Devo dire che questo ha funzionato”. L’ex magistrato ha riferito del “dossieraggio” partito nei suoi confronti: “Dal 1993 in poi – ha sottolineato riferendosi al lavoro dei magistrati siciliani – riesco ad arrivare allo stesso punto: e’ vero o no che una parte del sistema imprenditoriale italiano voleva comprare gli appalti in Sicilia? Si’. E’ vero che e’ venuto a patti con la mafia? Si'”. “Io – ha aggiunto – non ho contestato il 416 bis ma ho trovato il coltello”. “Ero arrivato a Gardini – ha proseguito – e ai 93 miliardi allo Ior, mentre cinque miliardi della tangente Enimont erano andati a finire a Lima, referente di Andreotti. Decine di verbali descrivevano che quando c’era la distribuzione della tangente, una quota andava alla corrente andreottiana. Non ad Andreotti, e dunque non penalmente rilevante, ma chi decideva alla fine? Poi parte a novembre il dossieraggio nei miei confronti, e Fabio Salamone avvia un’indagine su di me, conclusa con il proscioglimento e con l’affermazione che quelle indagini non dovevano essere fatte. Non c’entra niente Fabio Salamone (fratello di Filippo, ndr) con i rapporti mafia-appalti, anzi ha esercitato l’azione penale sebbene sulla base di segnalazioni anonime”. “Perche’ – ha concluso Di Pietro, rivolgendosi ai commissari – ogni volta che qualcuno cerca di arrivare alla zona grigia, viene fermato da quintali di tritolo o dalla delegittimazione?”.

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