Esistono innumerevoli modelli pedagogici che cercano di spiegare e insegnare a genitori, docenti e, in generale, formatori come educare e far crescere i bambini e guidarli verso l’età adulta.
La prima domanda che bisogna porsi è l’obiettivo verso il quale protendere e quale significato dare al “successo personale”: benessere economico, fisico o psicologico passa attraverso felicità, libertà, sicurezza, consapevolezza.
Giovanna Giacomini propone una sua versione che definisce “non originale ma innovativa”. Si tratta del metodo e modello pedagogico basato su quello danese ispirato alla filosofia Hygge, ad alcuni valori e principi del buddismo e delle culture orientali che spinge i bambini al di sotto dei 6 anni a vivere e agire in modo originale, personale e autonomo. Una filosofia già applicata con successo in 10 strutture, 9 comunali e una privata, e questo approccio potrebbe essere considerato un progetto pilota da poter estendere a tutte le realtà scolastiche italiane.
Nata in provincia di Treviso nel 1978 Giovanna Giacomini è laureata in Scienze dell’Educazione, ha conseguito un Master in Pedagogia per poi iniziare a occuparsi di percorsi di sostegno a giovani, adulti e bambini.
«Nel esiste il metodo “migliore” – racconta Giovanna -, ma quello più adatto».
E questo si traduce con il termine “serendipità” cioè vivere cercando quel senso di comfort con quello che si ha a disposizione, il sapersi gustare l’attimo che non significa “la felicità a tutti i costi, il non aver nessun problema” ma “essere sereni nonostante i problemi, un senso profondo di essere giusti al momento giusto al posto giusto”.
E nella scuola italiana questo approccio può essere trasposto adottando un approccio sincero, empatico e libero nell’educazione quando ancora i piccoli sono liberi da sovrastrutture, aspettative e preconcetti”.
Questo porta, secondo Giovanna Giacomini a “costruire una società migliore, più resiliente, più motivata, più creativa. In una parola, più felice”.
E per farlo serve un lento ma inesorabile cambio di passo con docenti ma anche con i genitori che vengono definiti “i più resistenti al cambiamento”.
I cambiamenti riguardano non soltanto gli spazi (con un maggiore contatto con la natura) ma anche della percezione del sé e delle proprie potenzialità. Insegnando, ad esempio, a scegliere e decidere con la psicologia del rischio e una progettualità coerente e intenzionale per uno sviluppo globale del bambino con il supporto di educatori, genitori e nonni che vivono un clima collaborativo. “Abbiamo bisogno di rimettere al centro il valore della felicità, non in senso assoluto, ma in modo concreto e questo si avrà con un cambiamento sociale partendo dalla prima infanzia”.
Dormire secondo le proprie necessità, uscire a con-tatto con la natura mettendo in allerta le percezioni sensoriali, sviluppando le proprie aspirazioni e curiosità, imparare la gratitudine delle cose, dalle piccole a quelle sensazionali.
I valori fondanti che vanno allenati e messi in campo, dunque, sono fiducia, empatia, sincerità e coraggio. Nulla di impossibile da raggiungere ma di faticoso da far comprendere per trasformare non un piccolo nucleo scolastico ma le future generazioni di persone che transiteranno dalle scuole italiane.
“Oggi viviamo in un tempo mutevole, veloce, caratterizzato da cambiamenti che ci mettono a dura prova. Abbiamo vissuto anni difficili, che hanno messo in luce tutta l’incertezza della nostra società. In questa situazione non conta essere i migliori, ma i più adatti. Dobbiamo rivedere la nostra scala di valori e mettere da parte la ricerca di competenze a favore della promozione del benessere inteso come capacità di saper tirar fuori da sé il meglio in qualsiasi circostanza. Per me questo passa da un valore fondamentale: la libertà. Non si può parlare di felicità senza parlare di libertà e non si può parlare di libertà senza passare dall’infanzia”