CALTANISSETTA. La notizia è di quelle che, quasi, sarebbe stato meglio se non fosse stata vera. E invece, purtroppo, è tutto vero. E’ morto Raffaele Ammendola. E la Città di Caltanissetta, la Nissa, la famiglia, i parenti, gli amici, gli estimatori, i colleghi di lavoro, il mondo del calcio piangono non solo il giocatore, o il tecnico o il dirigente, ma un pezzo di storia cittadina, di cuore, di valori, di stima, un simbolo di longevità ma anche di amicizia.
E’ morto nella sua abitazione. Se n’è andato in punta di piedi, lui che nella vita era sempre stato un protagonista in grado di fare sempre notizia. Di certo, quando 56 anni fa lui, giovanissimo terzino, venne a Caltanissetta, mai e poi mai avrebbe immaginato di poter scrivere una storia così bella e ricca non solo sul piano sportivo, ma anche su quello umano e professionale.
Allora erano i tempi del presidente Oberto, e lui arrivò il 19 agosto del 1966 da Napoli per rinforzare al massimo una Nissa che, ieri come oggi, sognava in grande un rilancio nelle sfere del grande calcio dilettantistico. Fu quello il primo impatto del giovanissimo Ammendola con la Caltanissetta di allora. Era quella la Caltanissetta del Caffè Romano, della Standa, del Cinema Bellini, la Caltanissetta nella quale si circolava in Fiat 850 o con la mitica Cinquecento. Arrivò alla Nissa assieme ad un suo carissimo amico, la talentuosa ala destra Adamo, uno che con il pallone ci sapeva fare e anche parecchio.
A Caltanissetta il giovane Ammendola rimase attratto dallo scintillio di una Città allora opulenta, una Città che ogni domenica consumava il sacro rito calcistico al “Palmintelli” riempiendolo in ogni ordine di posti per assistere alle partite della Nissa. E lui, nonostante la sua giovane età, presto divenne un’icona autentica del mondo biancoscudato.
Da allora, tranne una parentesi ad Enna e una alla Sancataldese, la carriera di Raffaele Ammendola si legò a doppio filo alla Nissa. A Caltanissetta mise su famiglia, nel capoluogo nisseno trovò il suo ambiente ideale nel quale poter esprimere se stesso. Fu assunto in Ospedale come infermiere facendosi apprezzare anche lì per la sua immensa umanità e per il suo carattere sempre franco e autentico.
Si, perché Raffaele Ammendola non era una persona costruita, non era il classico manichino i cui fili erano mossi da altri, ma era un uomo che, nello sport come nella vita, riusciva a coniugare passione e cuore, talento e impegno. Poi arrivarono le prime esperienze come allenatore. Prima come secondo di due autentiche leggende del calcio biancoscudato come Gianni Gennari e don Natale Casisa, poi come allenatore della Nissa.
Fu allora che divenne l’uomo per tutte le stagioni. Oltre che tecnico fu anche direttore sportivo e dirigente biancoscudato. Non c’era presidente o dirigenza che non gli chiedesse un consiglio, una strategia, una soluzione. Lui per la Nissa era disposto a sacrificarsi, a spendere le sue domeniche inseguendo sogni dietro un pallone. Fu anche allenatore della Rappresentativa regionale giovanile per quattro anni. Ha visto passare tanta Nissa. Lui era la storia, colui che conosceva tutto di tutti, segreti, aneddoti, storie, avventure di quel magico mondo chiamato calcio.
Nella vita di tutti i giorni era una persona semplice, genuina, un amicone. Amava tantissimo il mare e si concedeva parentesi marittime soprattutto prima che iniziasse il ritiro di questa o quella Nissa. Lui era la Nissa. Il suo spirito era sempre un prezioso punto di riferimento per quanti si addentravano nella conoscenza di un mondo calcistico che lui conosceva a menadito.
Per i tifosi, come per tante persone semplici, lui era il maestro, perchè aveva questa capacità innata di insegnare qualcosa, di lasciare il segno, di restare moderno nonostante gli anni passassero. Era anche una forma di rispetto e di stima verso una persona che ha dato tanto alla Nissa, alla Città e a quanti lo hanno conosciuto.
Il suo è stato un percorso di grande umanità, è stato protagonista senza mai accampare primo geniture; è stato soprattutto un simbolo autentico della Nissa perchè lui ha legato la sua carriera di giocatore, tecnico e dirigente a quella di un calcio nel quale i valori e gli uomini venivano sempre prima di ogni altra cosa. Era così anche quando era in ospedale. Ed era così anche nella vita di tutti i giorni.
Negli ultimi anni non aveva più incarichi alla Nissa, ma il suo nome è rimasto scolpito nel cuore di quanti hanno amato il biancoscudato. Non hanno dimenticato il suo amore, la sua passione, il suo combattere contro tutto e tutti pur di avviare e portare avanti un nuovo progetto Nissa. Non era un fuoriclasse: ci sono stati terzini ben più forti in biancoscudato, e ci sono stati anche tecnici probabilmente superiori e dirigenti più passionali, ma lui ha avuto un qualcosa che gli altri non hanno avuto: è entrato nei cuori di tutti e di ognuno, è riuscito a rimanere, è riuscito a diventare simbolo, icona, qualcosa che va al di la del semplice giocatore, dirigente e allenatore, qualcosa che va al di la del semplice infermiere, qualcosa che va al di la del semplice amico con il quale scambiare quattro chiacchiere calcistiche.
Perchè lui, per Caltanissetta, per la Nissa, per i nisseni, c’è sempre stato senza mai chiedere nulla. Ecco perchè oggi Caltanissetta piange un grande uomo, una persona che ha lasciato il segno nello sport come nella vita: Raffaele Ammendola.