Le sbarre roventi, il cemento armato che amplifica il calore, i pavimenti che di notte diventano l’unica fonte di refrigerio per chi vive in una piccola cella, magari insieme ad altri tre o quattro detenuti. L’inferno del carcere d’estate è questo ma anche molto, molto di più.
Il sovraffollamento, da anni ormai oltre ogni livello di allerta, non fa che alimentare la sofferenza del caldo asfissiante di agosto, quello che riempie le pagine dei giornali e che si trasforma, per chi è costretto a una vita in carcere, in una trappola infernale. “Per non parlare del 41-bis, lì quell’inferno è ancora più insopportabile”, racconta Carmelo Musumeci, il detenuto-scrittore siciliano che la massima sicurezza l’ha vissuta sulla sua pelle. In carcere il ventilatore, men che meno il condizionatore, sono un miraggio, l’acqua nel deserto della detenzione.
Le celle si trasformano in scatole di cemento bollente, mentre i detenuti provano a godersi quel filo di corrente d’aria che passa attraverso le sbarre delle finestre. Quando, però, non sono schermate, come accade – secondo i dati di Antigone – nel 50% dei casi, in un carcere su due. A questo si aggiunge anche la prassi che in molte strutture prevede di notte la chiusura del blindo, la pesante porta all’ingresso della cella che si trasforma così in un muro di ferro per l’aria. Come se non bastasse, poi, in molti dei penitenziari visitati da Antigone, per esempio, non ci sono le docce, nonostante siano obbligatorie ormai dal 2005.
Pochi, pochissimi anche i frigoriferi, a volte assenti anche nella sezione. L’acqua, dunque, si trasforma in un bene più che primario, fondamentale, imprescindibile ma, purtroppo, assente. “Mi ricordo che di notte, a luglio o agosto, dormivo per terra con un asciugamano, il caldo era insopportabile – racconta ancora Musumeci -. In cella alcune volte eravamo anche in quattro e si sudava da matti. Basterebbe davvero mettere qualche ventilatore per dare un po’ di refrigerio, ma purtroppo il sistema carcerario è fallito nel suo tentativo rieducativo, mantenendo solo l’approccio repressivo”.
Musumeci ricorda gli “inferni” dell’Asinara o di Badu ‘e Carros, dove si sconta quella che lui chiama la “tortura” del 41-bis. “Le sbarre erano roventi, la pece sul tetto amplificava il calore nella cella, non c’era niente di niente per darci un po’ di sollievo. Il carcere, che dovrebbe essere la medicina – racconta ormai rassegnato -, purtroppo si è trasformato nella malattia, diventando diseducativo e creando soltanto nuovi criminali”
. Lo scorso luglio a Ravenna e, poi, a Caltanissetta è andata in scena la protesta dei detenuti contro il caldo asfissiante, aggravato anche, nel caso del penitenziario siciliano, dalle lamiere saldate sulle grate delle finestre di ogni cella. Ad Aversa e ad Augusta, in Campania e Sicilia, manca addirittura l’acqua corrente, con le carceri servite esclusivamente da cisterne che – scrive Antigone – “non garantiscono acqua calda e acqua corrente tutto l’anno e in qualsiasi momento del giorno”. “E pensare – conclude con una battuta amara Musumeci – che una volta, quando si finiva in prigione, si diceva ‘andare al fresco’. Altri tempi, decisamente”.