Centovent’anni fa quel nostro castello era diventato ormai un pezzo cumulo di “immane rovina“, distrutto, annientato e, magari, trafugato, come diceva il nuovo architetto palermiatano Ernesto Armò, trovato e voluto da Desiderio Sorce, il Testadiferro, sindaco di Mussomeli, dal 1898 al 1902 e, in particolare, dal 1906 al 1908, “premuroso ammiratore del castello ed amministratore locale del Principe di Trabia e Scalea, è stato un cosciente e fedele ausilio”! Senza di lui, come senza l’Armò, non avremmo più avuto quel “nido d’aquila fuso nella rupe“! Ma quando l’architetto, prima di conoscere l’interno e l’esterno, dentro e fuori delle mura di cinta, non riuscì ad avere delle certezze e neanche a trovare di quei piccoli frammenti delle colonnine o di ornameni di bifore, delle finestre, di archi o dei portali. L’Armò, professore di architettura nella Regia Università di Palermo, aveva comunque deciso in quell’anno del 1909 di iniziare un grande restauro del castello di “Manfredi III”, così come in quello Steri Chiaramonte. In pochi due anni con la straordinaria impresa, fatto saldare dallo Stato del Regno d’Italia e aiutato dal deputato Principe Pietro Lanza di Trabia Scalea, eseguirono Domenico Paladino con i suoi lavori di restauro, poi di Domenico Puma comeabile intagliatore, Giuseppe Ajello detto scultore ornamentale, Simone Rutelli assistente ai lavori e Vincenzo Lo Cascio artista fotografo. In effetti, dopo quasi di quel nulla, il nostro castello fu ricostruito unico ed essenziale, e che divenne, ancora oggi, qualcosa incancellabile! Ma, allora, si poteva riedificare un’altra “storia” del “castrum“, nella sua fortezza e in quell’edificio fortificato, cinto di mura con la loro torre? Probabilmente, si doveva pensare qualcos’altro, come lo stesso Armò, e, in parte, all’inizio, si era ipotizzato a quel periodo arabo-normanno o svevo, ma, poi, egli passò definitivamente a restaurare quei portali, le mura, ed, in particolare, a ricostruire dall’ultimo quegli archi con ornamenti e con delle colonnine di bifore, come quelle del Palazzo Steri di Palermo. Invece, immagino, e tante volte, da quel tempo di 123 anni fa, dal 1900, notando e ripensandolo, quelle sei finestre dalle pareti, di cui tre nella zona sud, due ad est ed una in parte di nord-est, di cui tre si vedono nel buio delle sale, e le altre tre aperte nel vuoto. Pensiamoci, sicuramente, che furono distrutte o annientate, e, magari, trafugati in centinaia di anni. Guardandoli, attentamente quelle poche foto, cominciamo a rivederle con degli architravi e dei varchi, dentro e fuori. Capisco che quelle finestre mi sembrano totalmente diverse, e non di Manfredi III, nel tempo del 1370, ma prima di due cento anni. Le due finestre a sinistra li disegno, e anche come tipo di nuove foto, come fossero di quelle arabo-normanne, negli anni del 1100, in cui lo stile costruttivo e decorativo emerge durante il XII secolo, trovandovi quegli archi a sesto acuto ogivale. Le altre quattro sono tipicamente sveve, ed assomigliano al Castello Maniace di Siracusa o quello Ursino di Catania, oltre ad altri come quelli di Vicari e Misilmeri. Quel nostro castello è stato costruito prima in parte dai bizantini, con un pezzo di quella torre in alto, poi gli arabi attorno al 1000, in particolare dopo cento anni gli arabi-normanni in cui, dentro un sotterraneo, c’è un piccolo portale o, meglio, un “archetto trilobato” estremamente eccezionale, che per certi versi sembra proprio un “arabo” di mille anni fa! Lo stesso Armò si rese conto della forma del “vano di porta ogivale” in quel sotterraneo e che riteneva unica e sola del castello, ma senza specificarne alcuna differenza! E, così, quasi con certezza del nostro castello, immaginiamo che tutti siano iniziati dai romani e dai bizantini in un pezzo in alto della torre, fino all’800. Gli arabi fecero le prime mura nel 900/1000, e, poi, insieme ai normanni, cominciando le prime cinte murarie con le prime finestre e con dei bastioni. Saranno gli svevi, dal 1200, ricordando dappertutto tutti quei castelli siciliani del nostro imperatore Federico II, che completarono la scuderia in basso, poi i portoni, il cortile e tantissimi altri, in particolare alle tre sale, di cui due “volte a crociera” e di una “doppia volta crociera” (che è proprio uguale alle volte del Castello Ursino di Catania),quattro finestre, di cui una centrale che assomiglia molto al castello dell’Emiro di Misilmeri. Anche gli svevi, vicini e lontani, fecero pure una prima Cappella con delle grandi volte a crociera e dedicata a San Giorgio, ottocento anni fa. Solo nel 1540, con i baroni Lanza, tolto già San Giorgio da un po’ di anni, inserirono la nuova statua di marmo locale nella Madonna delle Catene e vi cambiarono pure altre finestre, per non dire che, due o tre cento anni dopo, furono completamente devastati. (Salvatore Vaccaro)
In quel castello arabo-normanno… (di Salvatore Vaccaro)
Dom, 02/07/2023 - 08:53
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