il Fatto Siciliano

“Macelleria Palermo”: quei morti ammazzati fotografati e messi in mostra dal 24 giugno al 22 luglio

“I primi morti ammazzati che ho fotografato? Gli omicidi avvenuti il 29 dicembre 1982 del fratello di Masino Buscetta, Vincenzo, e del nipote Benedetto: furono massacrati nella vetreria della famiglia a Palermo. Una vera e propria mattanza”, ricorda il fotoreporter Franco Lannino che insieme al suo collega Michele Naccari, prima con l’agenzia Publifoto e poi con Studio Camera, ha raccontato uno spaccato di quegli anni cupi della guerra di mafia in Sicilia.

Una carrellata di immagini “forti”, che finivano sulle prime pagine dei giornali. Una selezione di quegli scatti, quaranta stampati su tela, in rigoroso bianco e nero con le descrizioni audio che si possono ascoltare attraverso un app, fa parte adesso della mostra dal titolo inequivocabile “Macelleria Palermo”, a Palazzo Naselli, dal 24 giugno al 22 luglio dalle 16,30 alle 19,30. “Una iniziativa autoprodotta – dicono Lannino e Naccari – non è la solita mostra, è una full immersion nell’orrore spiegata a coloro che non ne sanno nulla di quel periodo”. I due cronisti per arrivare tra i primi sulle scene del crimine stavano collegati allo scanner per ascoltare le comunicazioni di polizia, carabinieri e vigili del fuoco.

“Quando scattava l’allarme partivamo a razzo, con l’adrenalina alle stelle, con le moto o l’automobile e a volte eravamo proprio noi a segnalare i delitti ai quotidiani. Una sorta di prenotazione per vendere il nostro servizio”, spiegano. La foto del cadavere doveva essere scattata in pochi secondi. Poi si correva a sviluppare il rullino e a stampare il fotogramma che a volte portavano ancora bagnato alle testate giornalistiche tra le quali l’ANSA. In quegli anni i mezzi di informazione mostravano quelle immagini molto dure in copertina.

“Quantu ‘nni murieru… quantu ‘nn’ammazzaru… (Quanti ne sono morti… quanti ne hanno ammazzati… ndr) L’Ora, morti e feriti… Accattativi ‘u L’Ora (Comprate L’Ora ndr)”, urlavano gli strilloni mostrando le copie dei giornali appena stampati nella tipografia di piazzetta Napoli, dove c’era la redazione del quotidiano della sera palermitano.

“La fotografia di Lannino e di Naccari è il ritratto di una città che si è specchiata nel suo stesso sangue, è un modo di intendere la realtà senza pose, senza trucchi ideologici, senza peripezie letterarie – afferma il curatore della mostra, Alessandro de Lisi – nelle fotografie di mafia, di giudici solissimi e di ammazzatine il ritratto di Palermo non è quello della città degli eroi che abbiamo inventato in seguito, piuttosto è ancora quella ‘macelleria’ che noi abbiamo conosciuto.

La stessa città girata dall’altra parte quando salta in aria Rocco Chinnici, dei lamenti per il traffico, anche della ‘Palermo bene’ per il cantiere dell’aula bunker, quella degli amici di Ciancimino, di quella che sente ancora caldo e sta al mare quando ammazzano Libero Grassi, – aggiunge de Lisi – quella dei condòmini che scrivono lettere ai giornali indignatissimi per la sirena della scorta di Giovanni Falcone e infine la città bastarda dei palermitani che sputano sulle blindate dei magistrati del pool quando passano, perché questi stanno facendo danno al turismo”.

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