Riceve un cuore e dona il proprio a una malata terminale. E’ un ‘trapianto domino’ quello che è stato eseguito all’ospedale Molinette di Torino e che ha permesso di salvare due vite in una sola occasione. Un intervento a catena che, per quel che riguarda il cuore, è più unico che raro: l’ultimo, in Italia, risale a quasi trent’anni fa.
“E ancora una volta – spiegano alla Città della Salute del capoluogo piemontese – ha dimostrato di essere una strategia ‘semplice’ per risolvere una situazione complessa”. ‘Semplice’ come possono essere ‘semplici’, al di là del gergo degli specialisti, oltre dieci ore in sala operatoria. Fabio, 43 anni, della provincia di Catania, soffriva di una grave disfunzione dei polmoni dovuta a sindrome di Young, e le analisi, svolte nella struttura sanitaria di Torino, avevano accertato che il solo trapianto dei due organi non sarebbe stato praticabile a causa di una asimmetria del torace: bisognava sostituire l’intero blocco cardio-polmonare.
Di mezzo ci si mise anche il Covid, che si accanì su Fabio dopo il ritorno in Sicilia. Un aggravamento delle condizioni dell’uomo, lo scorso dicembre, portò all’iscrizione nella lista nazionale delle urgenze. L’opportunità è arrivata a fine aprile grazie a un donatore da Roma. Con Fabio che aveva già deciso di ricambiare: “Il suo cuore – racconta Daniela, la sorella – era in condizioni perfette. E quando gli parlarono della possibilità di un impianto su un’altra persona, ha accettato. Non utilizzarlo sarebbe stato uno spreco”. Un cuore sano che ora batte nel corpo di una donna di 51 anni, strappata così dagli artigli di una displasia aritmogena ventricolare.
I due pazienti sono stati operati dall’equipe di Rinaldi, con l’aiuto di Massimo Boffini, nello stesso momento in due sale adiacenti. Lentamente ma con regolarità, stanno migliorando. “Siamo felici e orgogliosi – dice Daniela – Fabio ha sempre lottato come un leone e negli ultimi mesi ha dato il meglio di sé”. I primi segnali dell’esistenza di una patologia si manifestarono quando aveva solo un anno di vita “ma all’epoca – racconta la sorella – non c’erano le conoscenze di oggi”. Solo quindici anni dopo, a Messina, il professor Giovanni Pajno riuscì a tracciare coordinate precise. Con grande forza d’animo Fabio ha condotto una vita normale: ha studiato, si è diplomato. Ma molte cose non gli sono state concesse. “Mio fratello ha tanti sogni – dice ancora Daniela – e adesso vorrebbe partire per una crociera. Sembra poco.