Di richieste estorsive non ne avrebbero ricevute. Nulla, nessuna pressione. A negarle sono stati tre imprenditori, al processo a quella che è ritenuta la nuova mafia nissena e al presunto neo reggente di Cosa nostra, il quarantacinquenne Carmelo Antonio Bontempo. Quei tre episodi di pizzo che i presunti destinatari hanno sostenuto di non avere mai subito figurano tra le imputazioni a carico della sospetta nuova cellula mafiosa. E sono stati pure al centro di alcune misure cautelari, seppur poi annullate in parte dal Riesame.
Teorie contro al processo di Caltanissetta, tra accusa e presunte vittime di estorsioni, nel dibattimento che vede alla sbarra, oltre al presunto capomafia Bontempo, anche Fabio Meli, 45 anni, Giovanni Puzzanghera di 46, Francesco Zappia di 49 – ai quattro è contestata, tra l’altro, l’appartenenza a Cosa nostra – Massimiliano Iorio, 44 anni, Giuseppe Polizzi di 44, Ernesto Mirandi, 40 anni, Michele Amico, 43 anni, Giovanni Vinciguerra di 37 e il titolare di un locale, Michele Todaro di 43, passato da estorto a presunto favoreggiatore. I dieci imputati (assistiti dagli avvocati Danilo Tipo, Davide Anzalone, Ernesto Brivido, Sergio Iacona, Walter Tesauro, Gianluca Firrone, Dino Milazzo, Davide Schillaci, Luigi Di Natale e Sergio Scollo) sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsioni, associazione finalizzata allo spaccio e singoli episodi di vendita di droga. (di Vincenzo Falci, gds.it)