Attualità

Caltanissetta, Janni (Italia Nostra): “Le vie dello zolfo sono finite, bisogna saper reinventare il turismo”

Leandro Janni, presidente regionale di Italia Nostra Sicilia , interviene in merito alla proposta, avanzata dall’assessore del Comune di Caltanissetta Marcello Frnagamone, rivolta alle associazioni per la collaborazione alla creazione e ampliamento di quella che può essere definita “Le vie dello zolfo”.

Per il presidente regionale quella suggerita non è altro che “l’ennesima proposta di valorizzazione del nostro patrimonio storico-culturale e ambientale. Abbiamo persino un direttore di parco, in carico all’Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, che si occupa di valorizzazione. Stiamo parlando del direttore del cosiddetto Parco Archeologico di Gela. Malgrado il nome, il Parco comprende i diversi musei regionali, le aree archeologiche, i siti minerari dell’intera provincia di Caltanissetta”.

Leandro Janni prosegue spiegando di essere ben accetto ad accogliere nuove proposte purché “discusse e verificate da ogni punto di vista. Di certo, nessuno parla più di “tutela”, quando si tratta di beni culturali, soprattutto di beni archeologici ed etnoantropologici. D’altronde, ciò che è perduto è perduto per sempre”.

Il presidente di Italia Nostra prosegue citando le parole dell’assessore del Comune di Caltanissetta e il progetto di fondo cioè quello di “descrivere il paesaggio delle zolfare, un tempo unico e multiforme, attraverso aspetti che, per tradizione o suggestione, ne sappiano evocare lo spirito d’insieme. Al centro della scena le solfare, a svelare lo straordinario paesaggio naturale e umano che si dischiude alla loro vista. Le “Vie dello Zolfo” può veramente essere un sistema di reti di percorsi, itinerari, eventi e luoghi che nel loro insieme possa essere riconosciuto a livello internazionale come percorso identitario del paesaggio delle solfare siciliane. E tutti, adesso, possono offrire il proprio contributo per una rinascita economica, culturale e sociale. È già disponibile un sito web che dovrà essere implementato con la rete di itinerari pedonali o ciclabili tramite il destination marketing, utilizzando tutte le tecniche e le procedure che la rivoluzione digitale 4.0 mette oggi a disposizione quali, tra gli altri, social media, contenuti video, guide in realtà aumentata”.»

Una proposta che per Leandro Janni è inadeguata per la società contemporanea e opportunità di sviluppo turistico e, a supporto della sua tesi, cita il celebre scrittore Leonardo Sciascia quando dice che “la zolfara non esiste più. Rimangono echi, come segnali su piste abbandonate, a renderci conto di quello che la zolfara (o solfatara, come una volta veniva denominata) è stata nelle sue valenze antropologiche, sociali, psicologiche: e quello che essa comportò di infelicità, di umiliazione, e pure di intraprese, di avventura umana, di esodi spavaldi e disperati, di bassezze e di coraggio, di prepotenze e di arroganze, di ricchezze rapide, di crisi, di abominevoli sfruttamenti (…). Ormai non esiste. Spenglerianamente è una forma morta, un simbolo dunque, remota immagine di un processo e di una deiezione. Restano di essa le narrazioni, le cronache, le analisi, ricordi, memorie; la scrittura, cioè. In definitiva la parola. La quale quasi mai è adeguabile alla cosa. Essa va al di là, diventa iperbole, figura, allegoria, o ne resta al di qua rispetto a una realtà inenarrabile”.

“E dunque – conclude Janni- le vie dello zolfo sono finite. Finite con la chiusura delle zolfare. E l’anelato “turismo delle miniere” è, al massimo, un turismo di nicchia. Di questo dobbiamo avere piena consapevolezza, anche per immaginare nuovi percorsi, nuovi progetti – di conoscenza/tutela/valorizzazione – che siano fondati, condivisi, convincenti. E sicuri. Cosa resta, comunque? Resta il nostro “paesaggio”: un paesaggio storico, millenario. Peculiare. Un paesaggio in cui sono leggibili i fondamentali aspetti geografici e fisici, la straordinaria geologia, ma anche i molteplici segni delle trasformazioni della società contadina, del mutare degli assetti economici, del progredire delle tecniche. Un paesaggio in cui sono leggibili le ferite e gli abbandoni, i monumenti, lo splendore e le rovine. Bisogna saperlo descrivere, raccontare questo nostro paesaggio. E bisogna saperlo re-immaginare, con nuovi occhi e nuove energie. E il futuro è ciò che verrà e sarà ciò che noi saremo in questo processo”.

Condividi