Secondo i dati ufficiali dell’Inail, ben 320mila infermieri sono stati infettati dal virus del Covid-19, dall’inizio della Pandemia fino a oggi. Ma quanti di questi, dovremmo davvero chiedercelo, soffrono degli effetti del Long Covid? Secondo una indagine accurata a livello europeo, redatta in collaborazione con il Satse, il sindacato degli infermieri spagnoli, la media dei professionisti che nei Paesi Ue oggi soffre di postumi del contagio e’ di circa un sesto del totale dei contagiati.
“In Italia il numero attendibile e’ quello di almeno 20mila operatori sanitari, la maggior parte infermieri, che potrebbe essere alle prese con quella che e’ di fatto una vera malattia ma che, ahime’, non e’ considerata tale. Ci riferiamo al fatto che nel nostro Paese, cosi’ come in Spagna, i sintomi legati al Long Covid non sono considerati una malattia professionale”.
Cosi’ Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up. “Le assenze direttamente legate al manifestarsi di una sindrome Long-Covid – prosegue – sono oggi equiparate, in Italia, alla malattia comune, sia per il trattamento economico, sia per il trattamento normativo. A carico del lavoratore interessato ci saranno gli obblighi di certificazione, con la dovuta attenzione agli oneri di avviso e preavviso immediato in caso di assenze”.
Inoltre l’indagine, condotta su giovani operatori sanitari, rivela che gli effetti del Long Covid sono molto piu’ comuni e frequenti per chi ha contratto la forma cosiddetta “wild” del virus, ovvero quella dei primissimi mesi della Pandemia, a differenza delle varianti come Omicron che inciderebbero molto meno su questa patologia. E’ la conclusione di una ricerca svizzera condotta su oltre mille operatori sanitari, che sara’ presentata al Congresso della Societa’ europea di microbiologia clinica e malattie infettive.
Disturbi del sonno, depressione del tono dell’umore (tristezza, irritabilita’, insofferenza, mancanza di interesse nei confronti di attivita’ che prima piacevano), ansia, stress, psicosi: sintomi preoccupanti, che lo stesso infermiere, e anche il medico curante, in un primo momento, pensa chiaramente siano relativi alle difficolta’ lavorative, ai turni massacranti. Invece potrebbe trattarsi chiaramente di sintomi legati al Long Covid. Inoltre, sembra accertato, da uno studio caso-controllo pubblicato su JAMA Health Forum, un aumento della percentuale di esiti avversi in una coorte di sopravvissuti alla fase acuta della malattia da COVID-19. Risultati che indicano la necessita’ di un monitoraggio continuo per le persone a rischio, in particolare per gli aspetti cardiovascolari e polmonari: lo afferma la coautrice Andrea DeVries, vicepresidente per la ricerca sui servizi sanitari presso Elevance Health, un fornitore statunitense di assicurazioni sanitarie, ricordando che dopo la comparsa dell’infezione da COVID-19 molte persone sperimentano sintomi noti come long-COVID o condizione post-COVID-19 (PCC), e che attualmente poco si sa sull’evoluzione di tale sintomatologia. Durante il follow-up di un anno e’ stato sperimentato un maggiore utilizzo dell’assistenza sanitaria per un’ampia gamma di complicazioni: aritmie cardiache, embolia polmonare, ictus ischemico, malattia coronarica, insufficienza cardiaca, broncopneumopatia cronica ostruttiva e asma. E’ stato registrato anche un aumento della mortalita’: 2,8% rispetto all’1,2% dei controlli