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Covid, chiusa a Bergamo l’inchiesta sulla gestione della prima ondata: indagati anche Conte e Speranza

Redazione

Covid, chiusa a Bergamo l’inchiesta sulla gestione della prima ondata: indagati anche Conte e Speranza

Gio, 02/03/2023 - 09:24

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Trova ampio spazio su tutti i principali quotidiani la notizia dell’inchiesta sul Covid a Bergamo, che vede 19 indagati per epidemia colposa. Tra questi l’ex premier Conte, l’ex ministro Speranza, il presidente della Lombardia Fontana e l’ex assessore Gallera, e anche Brusaferro, Miozzo e Locatelli. I fatti risalgono alla primavera del 2020. Tre i filoni dell’indagine: la chiusura e la riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata “zona rossa” in Val Seriana e l’assenza di un piano pandemico aggiornato. “Secondo la procura – scrive Repubblica – la diffusione del Sars Covid-19 fu sottovalutata nonostante i dati a disposizione da settimane indicassero che la situazione a Bergamo — la Wuhan italiana — stava precipitando.

In particolare, appunto, in Val Seriana, dove erano già stati inviati carabinieri e polizia per cinturare l’area con la stessa zona rossa decisa a Codogno. L’invocata zona rossa, invece, tra Alzano Lombardo e Nembro, a pochi chilometri da Bergamo, non fu mai istituita.

Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo, anche sulla base della consulenza affidata a Crisanti, la zona rossa avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti: se fosse stata istituita il 27 febbraio le vittime in meno sarebbero state 4.148; al 3 marzo, 2.659″. “Il punto – spiega il Corriere della Sera – è chi avesse a disposizione i dati. Governo, Regione e tecnici dell’emergenza, ritiene la Procura. Con le proiezioni, Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento tracciò gli scenari: il peggiore ipotizzava mille casi dopo 38 giorni dal primo positivo ufficiale, ma quel livello di contagio venne superato già il 29 febbraio. Il 25 febbraio Merler invia a Brusaferro una nota: il tempo di raddoppio dell’epidemia è stimato tra i 3,5 e i 6,1 giorni. Nella riunione del 26 febbraio del Cts, però, non si ritiene di estendere le restrizioni del Lodigiano a nuove zone.

In quella del 28, vengono proposte misure secondo un principio di proporzionalità ed adeguatezza. Merler scrive anche alla Regione, una mail ‘confidenziale’ il 28 febbraio. Indica l’Ro, l’indice di trasmissione del virus: a Bergamo è 1.80, a Codogno 1.84, in Lombardia 2.1. Solo sotto l’1 era gestibile. Quello stesso giorno, due ore prima, Fontana scrive una mail con cui chiede al ministero e alla Protezione civile ‘il sostanziale mantenimento’ delle misure in corso per la settimana dal 2 all’8 marzo. Eppure, negli allegati, la stessa nota riporta l’Ro di 2. Ogni paziente infetto trasmetteva il virus ad altre due persone”.

“Quali sono le responsabilità di Conte e del suo governo?” si chiede il Giornale. “In più di una circostanza l’esecutivo aveva rivendicato per sé l’esclusiva competenza sul da farsi e la piena titolarità dell’azione. Ma il Piano pandemico non era un foglio di carta ma un protocollo, che non è mai decollato. Come se in un ristorante non ci fossero gli estintori, in Italia mancavano mascherine stoccate, dispositivi di protezione individuale, retrovirali eccetera. I pochi che c’erano sono stati inopinatamente regalati alla Cina da Speranza e Conte, mentre i nostri medici morivano, anche per colpa di mascherine cinesi comprate dal commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri.