Ancora oggi, quando si parla di disabilità c’è imbarazzo. Una sorta di disagio emozionale dovuto al sentimento curioso che la persona disabile, inconsapevolmente, provoca in chi la guarda o gli è accanto; considerato anche che, secondo diversi studi svolti sugli italiani, la disabilità viene percepita come un limite fisico o intellettuale – o entrambi ‒ invalicabile.
E se, invece, la disabilità fosse una risorsa?
Ebbene, sì. La disabilità può essere una ricchezza qualitativa, e la diffusione di centri diurni in cui si coltiva va ampliandosi sempre di più.
In che modo tale risorsa viene valorizzata all’interno dei centri? Chi affianca i diversamente abili? Da che età si può iniziare a frequentare?
Interrogativi che rappresentano dei tasselli da aggiungere all’articolato puzzle in cui viene raffigurata la disabilità, utili a comporlo per offrirlo a chi ancora ha gli occhi chiusi.
Il centro diurno è uno spazio fisico dedicato a persone con diversi livelli di autosufficienza, guidate da professionisti del settore che intervengono al fine di garantire finalità educative, riabilitative e aumento delle capacità già in possesso.
Integrazione, creazione di legami, supporto e amore. Questi alcuni elementi specifici dei centri diurni, dove i ragazzi, spesso in età post scolare, si riuniscono e svolgono numerose attività al fine di promuovere inclusione e il concetto di disabilità come risorsa.
Laboratori di cucina, di arte, di musica, di teatro e tanto altro. Attività che consentono ai ragazzi di sperimentare le proprie potenzialità e scoprire nuove attitudini.
Quello della disabilità resta ancora un mondo sconosciuto. Un pianeta da scoprire a mano a mano che i pregiudizi della società a riguardo vengono scardinati, e si è in grado di guardarlo con gli occhi della sensibilità.