Paolo Mario Buttiglieri, sociologo e giornalista - direttore della BIBLIOTECA FRANCO BATTIATO
Vi siete mai chiesti cosa vuol dire reprimersi?
Una risposta è trattenere qualcosa che tende a fuoriuscire. E perché qualcosa tende a fuoriuscire?
E’ come quando mangiate troppo e poi vi viene da vomitare.
Nel rapporto con gli altri è facile reprimersi, accumulare tensioni che prima o poi esplodono. Quando vedete un conflitto la prima cosa che dovreste chiedervi è cosa reprimevano quei due litiganti. Si, niente nasce per caso. Tifosi che aggrediscono tifosi di squadre avversarie o semplici passanti, Russi che aggrediscono Ucraini, cani al guinzaglio che vorrebbero fare quel che viene loro impedito.
Dietro ad ogni conflitto c’è una repressione.
Dietro a ogni repressione c’è una paura. Esprimersi è indispensabile per non reprimersi. E come nasce la paura? La paura è fisiologica quando vediamo un pericolo. Ma se il pericolo lo immaginiamo ci comporteremo in modo irrazionale.
E cosa vuol dire comportarsi in modo irrazionale? Mentre parlate con qualcuno vedete l’altro che improvvisamente alza la voce, anche se voi non siete sordi, lui immagina che non lo state ascoltando e si arrabbia alzando la voce. O magari arriva anche ad alzare le mani perché pensa, immagina che voi non lo ascoltiate e quindi che vi state prendendo gioco di lui.
Ogni conflitto nasce così: paura di un pericolo immaginario.
La maggior parte dei femminicidi sono uomini che immaginano che la loro compagna non li ascolti più e così alzano la voce e poi le mani.
E perché la nostra mente invece di vedere un pericolo reale ne vede uno immaginario? E’ un meccanismo fisiologico: tutte le volte che vorremmo esprimere quello che sentiamo dentro di noi e non abbiamo il coraggio di esprimerlo creiamo la premessa del conflitto perché il corpo va in tensione, il respiro diminuisce e perdiamo il controllo dei pensieri della nostra mente e di conseguenza delle nostre azioni.