“L’operazione ha permesso di fare luce sull’esistenza di un’organizzazione criminale transnazionale che operava su due Paesi, Italia e Tunisia. Un’associazione, la prima del genere scoperta sul nostro territorio, in cui i promotori e i capi erano insieme italiani e tunisini, in un rapporto di pari livello”. A dirlo all’Adnkronos è il capo della Squadra mobile di Caltanissetta, il vice questore aggiunto, Antonino Ciavola, dopo il blitz che ha smantellato l’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Diciotto le misure cautelari (12 in carcere e 6 ai domiciliari), emesse dal gip di Caltanissetta su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. Dodici quelle eseguite mentre 6 destinatari dei provvedimenti sono tuttora irreperibili poiché probabilmente all’estero.
A fare scattare le indagini, nel febbraio del 2019, è stata la segnalazione di un pescatore su una barca in vetroresina di 10 metri con due motori da 200 cavalli incagliata all’imbocco del porto di Gela. Gli accertamenti hanno permesso di scoprire che l’imbarcazione era stata rubata pochi giorni prima a Catania e che erano sbarcate decine di persone presumibilmente di origini nord africane.
Non l’unico viaggio organizzato dalla banda che aveva la sua base logistica in una vecchia masseria a Niscemi. Gli investigatori della Squadra mobile sono riusciti a ricostruirne quattro in modo dettagliato grazie ai Gps posizionati sulle imbarcazioni utilizzate per la traversata. Piccole barche, munite di potenti motori fuoribordo, condotte da esperti scafisti che operavano nel tratto di mare tra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche e Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento. In meno di quattro ore erano in grado di trasportare dalle 10 alle 30 persone per volta.
Scafisti spregiudicati come hanno rivelato le intercettazioni, in cui due tunisini non sapendo di essere intercettati spiegavano che se qualcosa fosse andato storto o in caso di avaria del motore occorreva “sbarazzarsi dei migranti in alto mare”. A condurre le barche, però, non erano solo tunisini. “Abbiamo individuato anche italiani al servizio dell’organizzazione – spiega il vice questore Ciavola -, persone che non erano i capi dell’associazione ma che si occupavano della tratta Italia-Tunisia andata e ritorno”. A capo del gruppo criminale c’era una coppia originaria della Tunisia, un uomo e una donna all’epoca dei fatti già sottoposti agli arresti domiciliari per analoghi reati per i quali hanno riportato condanna definitiva. Erano loro a gestire il traffico di essere umani da una vecchia masseria a Niscemi, di proprietà dell’altro capo della banda, un imprenditore agricolo, anche lui tra gli indagati, pronto a sottoscrivere falsi contratti di lavoro per legittimare la permanenza o l’ingresso in Italia dei migranti.
“Le indagini hanno svelato un accordo criminale che portava nelle casse dell’organizzazione rilevanti profitti”, dice il capo della Squadra mobile di Caltanissetta. Per ogni viaggio il gruppo criminale, infatti, poteva intascare tra i 30mila e i 70mila euro. Il prezzo pro capite pagato in contanti in Tunisia prima della partenza da ogni migrante si aggirava tra i 3mila e i 5mila euro. E i soldi della tratta venivano reinvestiti in Italia. Anche per l’acquisto di nuove barche, i ‘taxi’ del mare con cui assicurarsi lucrosi guadagni. (Adnkronos)