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Italia, scambiate in culla 33 anni fa: Regione Puglia condannata a pagare un milione di euro

Due neonate scambiate in culla perché non furono loro applicati i braccialetti di riconoscimento.

 Una delle due fa causa alla Regione Puglia e ottiene a Trani un risarcimento di circa un milione di euro (da dividere con gli altri protagonisti, loro malgrado, della storia). E’ questa la vicenda di una 33enne di Canosa in Puglia che otterrà il risarcimento assieme alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello), a cui per 23 anni sono stati impediti i rapporti familiari. Ma l’intera vicenda ha contorni ancora più assurdi.

La vicenda – La sentenza, di cui riferisce La Repubblica, arriva a dieci anni dalla scoperta dello scambio in culla di due bambine partorite il 22 giugno 1989 nell’ospedale di Canosa. Una di loro, Caterina (che credeva di aver partorito la bimba chiamata Lorena e invece era la mamma di Antonella) dovrà essere risarcita per 215mila euro, così come il marito, mentre 81mila euro andranno all’altro figlio, “per non aver potuto vivere compiutamente la relazione parentale”.

Ad Antonella, invece, la Regione pagherà circa mezzo milione (a fronte di una richiesta di tre). La madre, quella a cui fu assegnata per errore dall’ospedale, – ricostruisce il quotidiano – l’ha abbandonata da piccola, il “padre” l’ha maltrattata al punto da farla finire in orfanotrofio e poi in adozione. Meno difficile ma non idilliaca la vita dell’altra bambina: Lorena ha avuto un rapporto difficile con i genitori ma non come quello di Antonella.

La scoperta della loro vera identità risale al 2012, guardando delle foto su Facebook e notando delle somiglianze tra donne che non avevano alcun legame. I sospetti vengono confermati l’anno successivo con il test del Dna che rivela che Antonella è figlia di Caterina e Lorena di Loreta. Passano gli anni e partono due cause di risarcimento milionarie alla Regione, una davanti al Tribunale di Bari l’altra dinanzi ai giudici di Trani, che hanno emesso la sentenza. Quest’ultimo ricorso è intentato da Antonella e dai suoi veri genitori. Dalla ricostruzione dei fatti risulta plausibile, oltre ogni ragionevole dubbio, che le due neonate siano state scambiate nelle culle del nido, subito dopo il parto: a nessuna delle due, infatti, fu applicato il braccialetto identificativo. Quindi, le puerpere non furono in grado di riconoscere l’errore. Il personale ospedaliero – è scritto in sentenza – ha l’obbligo di operare perché il parto e le successive cure avvengano senza danni, ma anche di “consegnare” alla madre il neonato che ha partorito. Da qui l’inadempimento contrattuale – come lo chiamano i giudici – da parte della struttura e il danno gravissimo provocato alle persone coinvolte nella vicenda. A pagare dovrà essere la Regione Puglia, mentre nei confronti delle Asl Bari e Bat, citate in giudizio dalla ricorrente, è stato escluso qualsiasi coinvolgimento perché, all’epoca dei fatti, l’ospedale di Canosa dipendeva dalla Regione. 

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