Senatrice Craxi, cosa l’ha portata alla candidatura nel collegio uninominale di Caltanissetta-Agrigento, un territorio molto complesso con vista sul bacino euromediterraneo? Lei presiede la Commissione Esteri di Palazzo Madama e il suo, certamente, è un osservatorio privilegiato per capire lo scenario geopolitico internazionale.
Ho accolto con felicità ed emozione la proposta di rappresentare la coalizione di centrodestra in questo importante collegio uninominale per il Senato, perché la Sicilia è la terra in cui si ritrovano le radici della mia famiglia, io la vivo e la sento come casa mia. Sono profondamente orgogliosa del fatto di essere cittadina onoraria di San Fratello e di Mazara del Vallo, ma ho da sempre un rapporto speciale con tutti i siciliani. La mia candidatura nasce proprio da questo, dalla consapevolezza della solidità di un legame che si è rafforzato negli anni del mio impegno istituzionale al ministero degli Esteri, ponendomi al servizio delle necessità piccole e grandi, sempre con l’occhio attento a risolvere le problematiche dell’isola. Ecco, oggi metto a disposizione delle comunità del collegio di Agrigento, Caltanissetta e Gela questa grande esperienza istituzionale, maturata alla Farnesina prima e alla presidenza della Commissione Esteri del Senato poi, nella convinzione che il peso delle mie relazioni nazionali e internazionali possa fornire giovamento al processo di sviluppo del territorio e alle tante istanze economiche, sociali, produttive. I problemi sono globali, e le risposte vanno necessariamente inquadrate in una cornice molto più ampia. Del resto, siamo immersi nel Mediterraneo, e dobbiamo coglierne appieno tutte le opportunità, valorizzando l’eccellenza siciliana. Sento forte il peso della responsabilità. Se i cittadini di questo splendido territorio, che è stato illuso e disilluso, me ne daranno la possibilità, sarei onorata di rappresentarli nel Senato della Repubblica.
Siamo in una fase cruciale per l’economia del Paese. La questione energetica è uno dei temi prioritari dell’agenda del Governo che verrà. Come intervenire su questo fronte? Basta l’intervento dell’Europa per venire in soccorso alle migliaia delle piccole, medie imprese e artigiane che rischiano di chiudere?
La questione energetica ha ormai assunto contorni preoccupanti, in primo luogo per i cittadini, per le nostre famiglie e per le nostre imprese, perché la crisi si riflette drammaticamente sul caro bollette, incidendo sulla vita quotidiana delle persone. La politica non può tergiversare, bisogna intervenire subito per dare una risposta all’emergenza, mettendo in campo tutti gli strumenti necessari ad alleviare le sofferenze. E, trattandosi di una problematica non solo italiana, deve muoversi in maniera altrettanto sollecita l’Europa, dando prova di coesione e solidarietà fra i Paesi membri che non sono mancate nel contesto segnato dalla pandemia, ma che faticano a farsi largo oggi. L’imposizione di un tetto al prezzo del gas è una misura necessaria, da affiancare ad altri interventi urgenti che vanno messi a punto in ambito nazionale, con effetti positivi immediati per la stessa Sicilia. In questa Regione si produce molta energia da fonti rinnovabili, ed è assurdo che la popolazione debba pagare bollette così esose; dunque, in primo luogo, si scorporino dalle bollette dei siciliani i costi dei trasporti, visto che l’energia viene prodotta direttamente sul territorio. La Sicilia è già un grande hub energetico, con notevoli potenzialità nelle interconnessioni – certamente da rafforzare – che la legano alla Tunisia attraverso Mazara del Vallo e alla Libia tramite il gasdotto che arriva a Gela. Serve uno scatto, un salto in avanti, per fare davvero dell’isola il faro del Mediterraneo. In questo, sono certa che l’ottima sinergia tra il futuro governo nazionale targato centrodestra e quello regionale guidato da Renato Schifani sarà fondamentale per affrontare le grandi sfide che si profilano all’orizzonte. Serve un approccio strategico coordinato e di lungo respiro, che non si limiti alla gestione delle contingenze ma che sappia guardare oltre, delineando scenari per un futuro alla cui costruzione devono essere chiamati a partecipare in maniera attiva e dinamica i giovani, con il loro ingegno, con la loro eccellenza, con la loro creatività.
Il presidente Berlusconi è tornato a rilanciare il tema del Ponte sullo Stretto, quale infrastruttura fondamentale per lo sviluppo economico della Sicilia. Al contrario, molti insistono che prima bisogna intervenire su viabilità secondaria, soprattutto nelle aree interne, e potenziamento della rete ferroviaria. Qual è la sua opinione?
Giro il territorio da giorni, sto macinando moltissimi chilometri, e mi accorgo di una Sicilia che ha un forte tratto identitario riconosciuto in tutto il mondo, che vanta un importante patrimonio storico-artistico e naturale, un’eccellente qualità della vita, l’enogastronomia che rappresenta un grande indotto per il turismo. A questa Sicilia bellissima, però, mancano due cose: le infrastrutture strategiche al servizio del corredo e del valore identitario, e una burocrazia più leggera, più agevole, in particolare sul versante dei progetti per lo sviluppo. Sono fattori che bloccano la crescita della provincia di Caltanissetta e dell’intera regione. Penso poi ad un altro tema importante, su cui occorre investire, ovvero lo sviluppo dell’entroterra contro la spopolazione, che non va certamente in contrasto con ulteriori politiche per valorizzare e rendere attrattive le coste. Per quanto concerne il Ponte sullo Stretto, si tratta di un’opera importante che collegherebbe la Sicilia al sistema della mobilità europea, ovviamente rendendo più snelli i trasporti delle merci e delle persone. A tal proposito, mi piace ricordare la visione innovativa di mio padre Bettino, che tra Reggio Calabria e Messina immaginava di creare una grande capitale del Mediterraneo, da chiamare, non a caso, “Mediterranea”: una grande Hong Kong in grado di connettere queste due realtà strategiche per il Paese. Pensare ancora oggi di istituire in quest’area una “zona franca” con fiscalità di vantaggio, rappresenta un grande volàno di sviluppo per la crescita socio-economica della Sicilia e dei suoi abitanti.
Trent’anni fa, l’onda giudiziaria di Mani Pulite travolse la partitocrazia. Nei giorni scorsi, sulle colonne de Il Foglio, lei ha parlato di “giustizialismo militante” ricordando il suicidio del deputato socialista Sergio Moroni e richiamando le parole con cui suo padre commentò la drammatica fine dell’amico. Cosa è rimasto di quel “clima infame” e come si risolve questo cortocircuito tra politica e giustizia?
Quella fu davvero una brutta pagina della nostra storia, di fatto una lotta di supremazia tra il potere della finanza e il primato della politica, che ha distrutto il sistema democratico di questo Paese. E un manipolo di magistrati politicizzati si mise al servizio di questa operazione internazionale. Il risultato è che ancora oggi il moralismo militante avvelena i pozzi della politica e la giustizia continua a non essere un servizio efficiente a tutela delle ragioni del cittadino. Come se ne esce? Come si recupera un corretto rapporto tra i poteri dello Stato? Con una riforma radicale della giustizia che metta al centro la persona, i suoi diritti e le sue necessità, nella consapevolezza che la “questione giustizia” è determinante per la crescita e l’attrattività di un Paese. Occorre poi che la politica la smetta di affibbiare patenti, di distinguere tra buoni e cattivi, un vizio antico di questa sinistra che continua imperterrita a coltivarlo anche adesso in campagna elettorale, demonizzando sistematicamente l’avversario, paventando rischi di derive autoritarie, a tutto danno del prestigio internazionale del Paese. La politica non deve puntare sulla delegittimazione, ma deve saper contrapporre visioni legittime e soluzioni da cui possono uscire le idee migliori per il futuro del Paese. Ѐ questa la politica che sogno, la politica di un Paese che vuole definirsi libero.