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Vallelunga, “Verbumcaudo”. settimana di confronto a Polizzi Generosa

Redazione

Vallelunga, “Verbumcaudo”. settimana di confronto a Polizzi Generosa

Mer, 27/07/2022 - 09:18

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Nel decennale della consegna del Feudo Verbuncaudo da parte dello Stato alla Regione Siciliana, alla comunità di Polizzi Generosa e alla terra madonita, settimana di confronto e iniziative sul valore sociale dei beni confiscati alle Mafie. A Polizzi Generosa dal 25 – 31 luglio 2022.

(di Alessandro Barcellona) – Nel 1981 ero fresco fresco di prima comunione e quell’estate andavamo ogni giorno a messa, io e tutti i miei compagnetti. Un pomeriggio, prima di assistere alla celebrazione avevamo notato un insolito fervore in piazza. Quei personaggi che passeggiavano velocemente da un lato e dall’altro come se stessero godendo dell’unica ora d’aria su ventitré di detenzione – sempre guardinghi a scrutare gli altri e a complottare o sparlottare sottovoce – erano insolitamente sorridenti, quasi gongolanti. Ad un certo punto carpimmo una frase: “av’arrivari ‘u Papa a Verbumcaudo!”. Acciderbolina! Noi, infarciti di sacre scritture, memori di parabole e di lezioni sulle gerarchie ecclesiastiche sgranammo gli occhi. “Ma comu? ‘U Papa!” Manco tempo di essere stato eletto al soglio pontificio e già in cammino per il mondo, Giovanni Paolo II faceva un viaggio apostolico da queste parti? Miiii, che onore! Corremmo da padre Calcedonio e glielo comunicammo con entusiasmo. “Ma quali Papa! Papa uno solo ce n’è, ed è a Roma!”, tuonò come quando doveva rimbrottarci per un pensiero impuro o per una parolaccia. Anzi l’urlo di quando udiva una bestemmia! “Boh, caru’… ma cu arriva allura?”.Io a Verbumcaudo ci passavo ogni estate per andare in campagna ed effettivamente non sembrava luogo adatto a sede apostolica o a celebrazioni eucaristiche all’aperto. Splendida masseria arroccata su un costone, imponente e severa, sembrava un luogo da favola. Avevo appena una decina d’anni ma non avevo ancora idea di ciò che stava succedendo. Una cosa però notai negli anni a venire. Non poteva essere un “papa” come me lo immaginavo: la bella masseria venne in parte ristrutturata sostituendo gli spessi muri in pietra con il cemento armato; i bei tetti in coppo con l’eternit e i caldi infissi in legno con le serrande. Il nuovo comproprietario non poteva essere un uomo di Dio, stava violentando fisicamente il luogo, affascinante ed evocativo ma ora privo di grazia e di sentimento del bello. Qualche anno più tardi dopo questo scempio, un reggimento di Carabinieri ne fece un posto di guerra: trincee, pullman, elicotteri, tute mimetiche e armi d’assalto in continue esercitazioni che stridevano con il biondo dorato dei campi e con il verde argentino delle fronde degli ulivi della famiglia Battaglia. Una lama di coltello conficcata a vivo sulla coltre dorata di quelle colline. Sempre colpa di quel sedicente pontefice? Pian piano il luogo diventava la paurosa sede dell’Innominato di manzoniana memoria.Chi si fosse occupato della storia di questo feudo prima del 1979 avrebbe scritto una storia come tante altre. Una storia bellissima, certo, che narra di conquista normanna e di monaci cistercensi stanziati alla Magione e che da questo feudo di 1.200 ettari traevano le energie per campare. Poi la casa regnante si accorse che essere armati solo di penna e carta non bastava, occorrevano cappa e spada. Ed ecco arrivare i Cavalieri teutonici, a sorvegliare le strade e il transito, magari controllando le ultime sacche arabe che ancora permanevano nel centro della Sicilia.I teutonici, “cavalieri di fatto”, nel Trecento lo affittarono ad un “cavaliere di nome”: si chiamava De Milite e veniva da Polizzi. 8 once di affitto all’anno da corrispondere all’Ordine il giorno dell’Assunta. Calmate le acque e sgombrate le strade dai pericoli, dopo circa due secoli i Teutonici lo permutarono con alcuni beni dei De Milite e divenne così di proprietà privata e aristocratica. E che aristocratici! Per secoli, tra eredità e costituzioni di dote matrimoniale si avvicendarono le più nobili e altolocate famiglie siciliane! Acciero, Ventimiglia (si sì, proprio loro! Proprietari di mezza Sicilia), Lancia, Sabia, Bellacera, Galletti… fino a che nell’Ottocento la nuova borghesia e i nuovi nobili ne diventano baroni. Sciarrino di Carini – per esempio – che alla sua residenza palermitana di via Lincoln diede il nome di “palazzo Verbumcaudo”. Egli non riuscì a pagare tutti quei tirraggi che doveva a soggetti privati ed enti pubblici per cui subì una procedura esecutiva e il feudo se lo aggiudicò Giovanifilippo Gandolfo, barone di San Giuseppe che il titolo nobiliare se l’era guadagnato per importanti meriti personali. Ma anche ai Gandolfo le cose non andarono bene (pur se ad amministrare il feudo vi era il nostro onestissimo Vincenzo La Duca, patriota e sindaco postunitario di Vallelunga) e ai primi del Novecento venne messo nuovamente all’asta.Francesco Cammarata di Corleone comprava feudi per le amate figlie come se facesse la spesa al supermercato. Ricchissimo lui e straricco il genero Salvatore Tagliavia. C’era da dare l’ennesima dote alle tre sorelle Cammarata per cui suocero e genero parteciparono al pubblico incanto presso il Tribunale di Termini Imerese e si aggiudicarono il feudo nel 1901 per la ragguardevole somma di lire 320.000 circa. I fondi non costituivano un problema, soprattutto per il Tagliavia, che di professione faceva l’armatore e vantava una flotta seconda solo a quella dei Florio. Durante la prima guerra mondiale fu anche sindaco di Palermo, amato e benvoluto, e per questi motivi il governo gli assegnò anche il blasone. Il cerchio si chiudeva per lui in bellezza… titolo di conte in arrivo, contea appena comprata e contanti ad libitum. Le cognate erano sposate con due nobiluomini: Pasquale Calafati, barone di Canalotti e Giuseppe Paternostro, barone di Ridocco. Queste ultime due famiglie vendettero a due riprese (1924 e 1938) i loro quattrocento ettari alla famiglia che li gestiva già dal 1903: si tratta dei fratelli Giuseppe, Antonino e Rosario Battaglia di Valledolmo i cui eredi ancora li detengono e brillantemente li conducono (e non posso non indirizzare un commosso ricordo a Vincenzo Battaglia che tanto mi ha aiutato nel ricostruirne la storia recente).Dopo la morte della moglie Caterina Cammarata, il conte Tagliavia si ritrovò nel 1921 ad ereditare gli ottocento ettari di Verbumbaudo, i trecento ettari di Favarella nella Borgata Ciaculli e i cinquecento del feudo Camone a Tusa, questi ultimi due beni riconducibili al primo marito di Caterina, Ciccio Colonna Romano duca di Reitano. Ma ereditò pure il fastidio di non riuscire a buttar fuori da quelle terre il sindaco di Vallelunga Gerlando Fraterrigo che si era insediato legittimamente a Verbumcaudo con la sua cooperativa agricola ma che faceva il briccone. Solo nel 1935 arrivò la sentenza del Tribunale che estrometteva il nostro ex sindaco dal feudo.Nel 1950 fu approvata una legge (“Decreti Gullo”) che in sostanza imponeva ai feudatari di non possedere più di duecento ettari… il resto in esubero lo dovevano frazionare e assegnare ai contadini bisognosi. Mentre tutti i grossi proprietari, tutti, cominciarono a fare donazioni e vendite simulate, piantumare boschi o scavare laghi per non perdere neppure un metro quadrato, il nostro conte Salvatore Tagliavia si comportò da gran signore qual era: tutta la zona Campaneddri (ettari 650) venne affidata in proprietà ai suoi 150 lavoratori grazie alla Cooperativa “Il risveglio” con sede a Vallelunga in via Garibaldi. Favarella venne ridotta a 50 ettari con la stessa generosa e altruistica operazione. Nel 1965 morì Tagliavia e iniziò la triste storia di quella porzione di Verbumcaudo (151 ettari): un amministratore infedele di quell’enorme patrimonio di 100 miliardi di lire (manco so come si scrive a numero!) – paventando debiti inesistenti – cominciò una dismissione dei beni vendendoli qua e là avvantaggiando amici e amici degli amici e, già che c’era, facendo la cresta. A coltivare l’agrumeto di Favarella (il mandarino è chiamato “tardivo di Ciaculli”) c’erano i Greco, in particolare Piddruzzu ‘u tenenti che avendo soppiantato il mafioso Pace si comportava come un paladino che aveva ristabilito l’ordine. Due figli: Salvatore e Michele, destinati a diventare persone di spicco dell’Onorata Società di cui raggiunsero i vertici. Tant’è che il primo era soprannominato “Senatore”, il secondo “Papa”. Ecco chi era il Papa!!! Michele Greco, capo mafia siciliano che pensava di acquisire nobiltà (!) comprando a prezzo stracciato e con manovre poco limpide un intero feudo tanto comodo pure per delinquere. Un mutuo facile facile grazie a Ignazio Salvo presso il Banco di Sicilia gli consentì di fare quei lavori di ristrutturazione ad una parte della masseria. La manovra segnò il destino di questa porzione di feudo e la sua famigerata nomea.Provvidenziale invece arriva il magistrato Giovanni Falcone, abilissimo a rompere le scatole ai mafiosi e principiando un percorso virtuoso che giunge fino ai nostri giorni (quest’anno si commemora il trentennale della sua uccisione nella strage di Capaci). Proprio l’assegno per il pagamento del feudo alla società dove erano confluiti i beni dei Tagliavia gli desta sospetti. Non solo svenduto (650 milioni mentre valeva almeno due miliardi), ma tratto da un mafioso campano e con un bel ritorno all’amministratore (“classico esempio di spoliazione mafiosa” l’apostrofò Giovanni Falcone). C’erano tutti gli elementi per il sequestro e così avvenne alla fine degli anni Ottanta. Ecco spiegati i Carabinieri. Ma le banche, come si sa, non regalano niente e quell’ipoteca del mutuo risultava l’unica garanzia per l’Unicredit per recuperare qualcosa. E la banca provò a metterlo all’asta. Nessuno però aveva fatto i conti con la testardaggine di Vincenzo Liarda, sindacalista della CGIL di Polizzi Generosa, che evidenzia il problema, lotta, grida e sbraita e si becca pure una serie di intimidazioni mafiose molto gravi. E nessuno fece i conti neppure con la politica, quella bella, quando l’assessore regionale Gaetano Armao si siede al tavolo con la banca, fa fare un mutuo alla Regione e riscatta quei 151 ettari diventando così patrimonio indisponibile della Regione Siciliana. Il bene è stato restituito così alla collettività dieci anni fa.Questa narrazione fa di Verbumcaudo un paradigma della storia siciliana. Così mi sono espresso pubblicando un libro che ne narra nel dettaglio la storia e che verrà presentato il 29 luglio a Polizzi Generosa durante le manifestazioni che commemorano il decennale della consegna del feudo al territorio delle Madonie. Quel giorno al Palazzo della Cultura tutti i comuni soci e il Consorzio madonita “legalità e sviluppo” presieduto da Vincenzo Liarda daranno il benvenuto a Vallelunga e Marianopoli come componenti del Consorzio. Anzi, proprio il Comune di Vallelunga ha deciso, onorandomi, di sostenere le spese dell’eccellente tipografia “L’Eliorapida di Palermo”. Il sindaco Giuseppe Montesano mi ha scritto un accorato e lusinghiero intervento, affiancato da quello toccante di Vincenzo Liarda e quello emozionato di Roberto Tagliavia uno dei discendenti del conte Salvatore. Saranno presenti, fra gli altri, il senatore Piero Grasso, già Procuratore Nazionale Antimafia e Presidente del Senato, il prefetto di Caltanissetta Chiara Armenia, l’assessore regionale Salvatore Cordaro, il nostro sindaco Giuseppe Montesano, tutti coordinati dal giornalista Enrico Bellavia. Oggi quel feudo è diventato produttivo a pieno regime grazie alla Cooperativa Sociale Verbumcaudo, figlia del volere del Consorzio: undici ragazzi selezionati con pubblico bando a cui viene affidata la coltivazione del feudo e per il quale è occasione di sviluppo con forte valenza etica.Questa la storia del feudo. Questa la storia terribile delle grinfie della mafia su parte del bene. Questa la sua bellissima conclusione. Senza Falcone, senza Liarda e senza Armao oggi racconteremmo comunque una storia senza lieto fine.Alessandro Barcellona

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