Il rispetto per le figure che hanno combattuto la mafia deve comprendere tutti gli aspetti che riguardano un personaggio.
Non basta, infatti, partecipare a manifestazioni o condividere sui social alcune celebri affermazioni di Giudici, presbiteri o giornalisti. Serve anche il rispetto dei luoghi che celebrano chi ha combattuto l’illegalità anche a costo della propria vita.
C’è chi, invece, non crede a questi valori e non si preoccupa di accostare la propria vettura al margine della strada e gettare della spazzatura proprio sotto un murales che commemora il sacrificio di Antonino Saetta e del figlio Stefano.
Il giudice fu assassinato attorno alla mezzanotte del 25 settembre 1988, sulla SS 640 Agrigento-Caltanissetta, all’altezza del viadotto Giulfo (agro di Caltanissetta), di ritorno a Palermo dopo avere assistito a Canicattì al battesimo di un nipotino. Il giudice e il figlio erano a bordo della loro vettura, una Lancia Prisma color grigio, quando furono affiancati da una BMW con a bordo i killer che spararono con due mitragliette calibro 9 parabellum; l’auto del giudice sbandò, andando a sbattere contro il guard-rail a bordo strada, mentre i killer scesero dalla BMW e continuarono a crivellare di colpi le due vittime, fino ad ucciderle: in totale furono sparati 47 colpi. Subito dopo, la BMW servita per l’omicidio (che risultò rubata ad Agrigento una decina di giorni prima da un ladruncolo che poi venne assassinato per non lasciare testimoni) venne portata in una campagna a circa due chilometri di distanza dal luogo del delitto e lì data alle fiamme.
Chi passa dalla SS640 e vede questo scempio non può che chiedersi come possa accadere che qualcuno abbandoni rifiuti nel luogo in cui un uomo è morto solo per aver scelto di combattere con la legalità per una società più giusta.