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Mussomeli, Intervista a Vera Voloshina, profuga ucraina psicologa madre di bambine

Redazione

Mussomeli, Intervista a Vera Voloshina, profuga ucraina psicologa madre di bambine

Ven, 01/04/2022 - 15:15

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MUSSOMELI – Il cuore pulsante di Mussomeli che l’aveva accolta bambina nel 1995, l’ha abbracciata di nuovo con immutato calore umano. Vera Voloshina, psicologa 36enne, è letteralmente fuggita dalle bombe russe per mettere al sicuro se stessa e soprattutto le sue tre bambine: Eva di sette anni, Polina di cinque e Daria di tre. Con lei anche la madre, Lyubov Shemchuk, E qui, nel cuore vivo della Sicilia, ha ritrovato in Franco Amico e Cettina Intilla e nel loro entourage, quel calore e quel supporto solidale che fa la differenza quando una guerra, infame e sanguinaria come tutte le guerre, infuria e continua a lasciare sul campo vittime civili. È tornata qui, Vera, a Mussomeli, come altre sue connazionali stanno facendo. Qui, dove un tempo erano state ospiti per disintossicarsi dalle radiazioni del più grande disastro nucleare del secolo scorso: lo scoppio della centrale di Chernobyl.

E proprio l’incubo di un nuovo pericolo nucleare è tornato ad affacciarsi per Vera che viveva a Zaporižžja, da dove è andata via a bordo della propria Hyunday Santa Fe, dopo avere caricato lo stretto necessario e avere attraversato l’Ucraina, Paese grande due volte l’Italia, quindi piuttosto che attraversare la Romania e lì sostare in attesa di essere smistata come profuga, ha transitato dall’Ungheria e dalla Slovenia. Infine, si è diretta verso il porto di Livorno. Sbarcata in Sicilia, ha trovato ad accoglierla Franco e Cettina. Ieri l’abbiamo incontrata. Capelli biondi, lunghi e sciolti, occhi azzurri, trucco leggero, parlava in inglese e a tratti la voce si incrinava al ricordo di quello che ha appena passato.

Vera, vi aspettavate che scoppiasse la guerra a casa vostra?

No, non ce lo aspettavamo. Appena una settimana prima avevo comprato dei mobili nuovi per il mio ufficio di psicologa. Nessuno di noi si aspettava una cosa del genere. Quella mattina io e le bambine siamo andate in giardino per giocare un po’ e mi sono accorta che c’erano tanti militari in giro, ho pensato che fosse in atto qualche operazione, non certo che fosse scoppiata la guerra. C’era un poliziotto e ha provato a tranquillizzarmi, ma mi sono accorta che al rifornimento di carburante c’era una fila chilometrica, quindi la notizia dell’invasione russa si era già diffusa. Io abitavo a Zaporižžja, vicino la stazione atomica, così noi chiamiamo la centrale nucleare.

Come hanno vissuto le bambine questo dramma?

Hanno capito in qualche modo quello che sta succedendo, e la più piccola addirittura mi ha detto: mamma io voglio essere felice, non ha importanza dove stiamo, quello che conta è che noi stiamo bene tutti insieme. Qui adesso sono più serene, ma hanno paura appena sentono dei rumori forti, sussultano. Sono rimaste traumatizzate. Per cinque giorni, ogni dieci secondi, sentivamo le esplosioni non lontano da noi. Di continuo. Abbiamo visto anche delle persone uccise. Abbiamo visto le schegge delle esplosioni e a quel punto ho deciso di lasciare l’Ucraina, ma era impossibile prendere dei mezzi pubblici. La stazione ferroviaria era presa d’assalto. C’era tantissima gente. Allora ho preso l’auto. Ci siamo fermate tre volte in Ucraina. La prima notte abbiamo dormito in auto, poi abbiamo trovato persone di buon cuore che ci hanno messo a disposizione le loro case. Tante brave persone.

Perché secondo lei sta succedendo questa guerra?

Io non lo so, e nessuno di quelli che conosco lo sa davvero. I miei amici, i miei parenti, che sento spesso, non sanno spiegarselo e tutti speriamo che finisca presto. Quando era scoppiata la guerra in Donbass, nessuno si immaginava che fosse un conflitto che potesse estendersi, anche perché si trova in un’altra regione e avevano notizie lontane. Prima era un conflitto che vedevamo con distacco, adesso cominciamo tutti a capire meglio. Io ho ancora mio fratello in Ucraina, tre zie, sorelle di mia madre, uno zio, dei cugini e tanti amici e amiche.

Cosa le dicono quando li sente?

Aspettano. Stanno tutto il giorno nascosti nei bunker. Aspettano che la guerra finisca. A mio zio hanno distrutto la casa, sta rintanato tutto il giorno in un nascondiglio. Non hanno né acqua né cibo e resistono come possono.

È contenta di essere qui a Mussomeli?

Sono felice, ma anche adesso di notte, ho degli incubi spaventosi e sogno i bombardamenti. Spero di poter iscrivere al più presto le bambine a scuola, così loro potrebbero frequentare altri bambini e si favorirebbe la loro integrazione e imparerebbero la lingua. Ho già richiesto al mio medico in Ucraina i certificati delle vaccinazioni. Con loro a scuola, avendo del tempo libero, mi piacerebbe fare qualcosa per Mussomeli, rendermi utile con la mia professione. Spero proprio insomma che le bambine possano andare presto a scuola, il resto si vedrà.

So che le bambine al loro arrivo nella casa che la famiglia Canalella-Mingoia le ha messo a disposizione, hanno trovato tantissimi giocattoli.

È stato un momento toccante, molto bello. Sono state felici e ieri sera, ad esempio, giocando, hanno inventato una storia e attraverso questa storia hanno espresso le loro emozioni. Andavano in un paese incantato, dove c’era tanta gente che le vuole bene e dove il mangiare è buonissimo. E c’erano anche tanti giocattoli per divertirsi. Una sorta di paese dei balocchi. Quel paese è Mussomeli. In loro rivedo me stessa bambina. Quando venni a Mussomeliper la prima volta eravamo nel 1995. Avevo appena dieci anni, allora. E quella esperienza a Mussomeli mi fece toccare con mano l’amore e l’unità che c’è nelle famiglie, come ci si aiuta l’uno con l’altro, si parla a tavola e il mio sogno era di avere una famiglia anche io nella mia terra.

Se potesse parlare con Putin e Zelensky, cosa gli direbbe per porre termine a questa guerra?

È una domanda difficile, perché prima di questa guerra non ho mai pensato a Putin. Io non capisco perché stia succedendo tutto questo. Conosco invece Zelensky, l’ho pure votato e lui da quando è stato eletto ha modernizzato le città, ha fatto le strade, ha portato una ventata di novità. Adesso provo a capire cos’altra sta facendo. Prima non c’erano molto servizi e non c’erano tasse, adesso i servizi ci sono e io preferisco pagare le tasse pur di stare meglio. Sono quindi d’accordo con la politica di Zelensky di ammodernamento, ma a Putin proprio non saprei cosa dire.

E alla città di Mussomeli che le ha allargato le braccia, cosa vuole dire?

Prima di tutto un grande, immenso grazie. Sono molto grata. Sento il loro grande abbraccio, il calore della gente, tutti ci vogliono bene. Grazie soprattutto a chi mi ha permesso di tornare qui. Chi mi ha accolto. Anche ieri sono andata a comprare frutta e verdura e il venditore mi ha detto: tu sei la signora ucraina? Prendi, prendi pure. E non mi ha fatto pagare nulla. Spero un giorno di poter ricambiare tutto questo affetto.