Quelle pellicole le ha portato con se in tutte le tappe della sua vita, che dai tempi dell’università lo hanno portato in diverse parti d’Italia e del mondo, e adesso, finalmente, sono state restaurate, montate e sonorizzate, e sono diventate un documentario inedito di alcuni riti della Settimana Santa di Caltanissetta, Delia e San Cataldo degli anni ’50 del secolo scorso. della durata di 35 minuti, che l’autore, Gianfranco Ayala, oggi ottantanovenne neurologo in pensione, di origini nissene, presenterà e proietterà a Caltanissetta Lunedì 11 Aprile alle ore 18 nella Multisala Moncada con l’intervento del prof. Rosario Perricone, docente di antropologia culturale dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, e direttore del Museo Internazionale delle Marionette di Palermo, a Delia Martedì 12 Aprile alle ore 18 nella Sala Consiliare del Comune di Delia, e Mercoledì 13 Aprile alle ore 18 a San Cataldo nell’Auditorium Gaetano saporito della Banca G. Toniolo.
Le pellicole sono state restaurate dallo Studio Multimediale Carlo Bazan, e sonorizzate e montate dal CRICD dell’Assessorato dei Beni Culturali della Regione Siciliana, con il supporto per il montaggio e la sonorizzazione di Maurizio Spadaro e di Marcello Alajmo per l’intervista a Gianfranco Ayala presente all’inizio del documentario, che saranno presenti alla presentazione e proiezione di Caltanissetta.
Alla presentazione e proiezione di Delia, parteciperanno oltre a Gianfranco Ayala, anche il sindaco Gianfilippo Bancheri e all’assessore alla cultura Carmelo Alessi, mentre a San Cataldo ci saranno i saluti del sindaco Gioacchino Comparato e dell’assessore alle tradizioni ed al turismo Salvatore Emma, oltre a Salvatore Falzone dell’associazione Le Spighe e Claudio Arcarese, presidente dell’associazione Amico Medico.
Gianfranco Ayala nasce a Caltanissetta nel 1933 da un padre musicista e una madre torinese. La sua famiglia, tra le più importanti della città, possiede fra l’altro una piccola miniera di zolfo, la “Giumentarello”, che occupa un centinaio di operai. Diciottenne, ha fotografato la città e le campagne intorno, ed è sceso in miniera per girare il suo documentario sulla miniera, “Solfara”, un documento unico sulla condizione dei minatori e dei carusi che vi lavoravano.
Inviato dalla famiglia a Torino per frequentare la facoltà di medicina, si laurea in Psichiatria e presto si trasferisce negli Stati Uniti, dove è vissuto trent’anni raggiungendo livelli di eccellenza nella sua professione di medico neurologo e docente universitario, dismettendo però l’attività fotografica. Ritorna in Italia alla fine degli anni ottanta, dove insegna per vari anni a Roma e poi a Palermo. Negli ultimi dieci anni si è dedicato a riscoprire e ordinare la sua produzione di fotografie e documentari.
Per Luigi Garbato e Pasquale Carlo Tornatore, che hanno seguito il lavoro di realizzazione del documentario, “il restauro del film di Gianfranco Ayala sulla Settimana Santa a Caltanissetta, Delia e San Cataldo è un’operazione di recupero antropologico di un vissuto antico che continua a manifestarsi ancora oggi, pur modificandosi di anno in anno, di stagione in stagione. Recuperare queste preziose riprese filmiche, significa ritrovare un mondo in bianco e nero in cui le immagini sacre emergono come capolavori “grisaille” tra le folle di nostri antenati eccezionalmente espressivi in volto e ammantati con gli abiti di un tempo.
Non si recuperano soltanto le immagini ma anche – con il supporto dell’immaginazione – il suono delle bande, i dialoghi delle sacre rappresentazioni, l’odore delle lampade accese, il sapore fresco di un gelato acquistato da un carretto. Recuperare le eccezionali immagini di questo straordinario documentario vuol dire in definitiva riannodare il presente al nostro passato, in parte perduto ma sempre tramandato, seguendo il filo rosso della tradizione che, pur rinnovandosi, rimane immutata nel fascino che suscita in ciascuno di noi, indicandoci un solido punto fermo nel cammino incerto del futuro.”
Per Gianfranco Ayala, “la Settimana Santa in Sicilia è un momento speciale del sentire popolare e della sacralità. Nella Pasqua del 1950 (ahimé non ricordo con esattezza l’anno, potrebbe essere il ’49, il 50 o il ’51) filmai i riti della Settimana Santa nella provincia di Caltanissetta. Ogni manifestazione, che si trattasse di Delia, San Cataldo o proprio Caltanissetta, presentava una diversa mistura del religioso e del popolare.
Allora mi interessava principalmente documentare la partecipazione popolare alle manifestazioni e rivedendole dopo così tanti anni mi rendo conto di quale grande sentimento riescono a suscitare ancora oggi e di come la partecipazione popolare non sia affatto cambiata, pur tenendo conto delle ovvie trasformazioni della nostra società.
Con la mia cinepresa, e grazie all’aiuto di mio padre, ripresi le festività in ordine cronologico, dal mercoledì alla domenica di Pasqua. La scelta delle manifestazioni fu puramente legata al fatto che vivevo a Caltanissetta e che Delia e San Cataldo fossero paesi molto vicini. Rivedendo questo filmato e ragionandoci sopra, oggi a settanta anni di distanza, vedo e credo di poter astrarne quattro momenti differenti ma fondamentali del sentire popolare siciliano nei riguardi della morte in generale, e della partecipazione alla Passione di Cristo.
Spero che queste immagini trasmettano al pubblico di oggi il sentimento autentico delle manifestazioni religiose di settanta anni fa; di come queste fossero sentite e vissute dalla popolazione che ne assumeva un ruolo prominente con una attiva partecipazione alla Passione di Cristo.
Completare questo film con un accurato lavoro di montaggio, video e sonoro, ha il significato per me di dare alla luce un pezzo della nostra storia, della nostra memoria, quella dei nostri antenati, dei nostri padri.
Una memoria che ci riguarda tutti, indistintamente, e che spiega il perché, ancora oggi, siamo così legati alle feste e ai riti che ogni anno si ripropongono e che ci accompagnano da sempre. Credo che questo documentario testimoni come la ritualità popolare e collettiva seppur cambiata negli aspetti esterni o formali, faccia parte di una storia e tradizione che ha in sé la ragione della sopravvivenza.”