Cannavaro alza la coppa a Berlino e l’Italia intera canta “popopopopopopo”. Da quel momento inizia il tracollo mondiale del calcio azzurro: fuori al primo turno nel 2010 da campioni in carica, stesso destino 4 anni dopo, e, come apice del disastro, due clamorose esclusioni consecutive dalle edizioni 2018 e 2022. Se, come è logico attendersi visto che il Mondiale sarà a 48 squadre, la nazionale azzurra si qualificherà per il 2026, in 20 anni esatti avrà disputato soltanto 6 partite in una fase mondiale, perdendone 3 (contro Slovacchia, Costarica e Uruguay), pareggiandone 2 (Paraguay e Nuova Zelanda) e vincendone una sola (Inghilterra).
Bilancio da paese centroamericano che gioisce con caroselli in strada ogni volta che riesce a ottenere una qualificazione mondiale, non degno di una nazione che vanta 4 titoli iridati. Ci sarebbero abbastanza elementi per correre ai ripari, per cambiare dalle basi l’organizzazione del calcio italiano. Siamo però in grado di spoilerare il finale: non accadrà nulla. All’indomani del vergognoso Mondiale sudafricano, nel 2010, la Figc decise per un cambio radicale nella struttura dei vivai.
Questa la comunicazione dell’epoca: “Roberto Baggio è il nuovo presidente del Settore tecnico di Coverciano, Gianni Rivera il presidente del Settore Giovanile-Scolastico e Arrigo Sacchi il coordinatore delle nazionali giovanili. Con queste nomine prende corpo il progetto del presidente della Figc Abete sul rilancio dei vivai. Un tema che il presidente federale ha proposto da tempo all’attenzione degli addetti ai lavori e che segna una pagina importante per il calcio italiano”. Tutti i protagonisti, chi prima chi dopo, hanno salutato, ringraziato e si sono dedicati ad altro dopo essersi resi conto di quanto fosse complicato rivoluzionare la mentalità del nostro calcio.
E, da allora, si è sempre riusciti ad avvicinarsi al fondo. Anzi a toccarlo, anzi a scavare. Il ct dell’Under 21 Paolo Nicolato ha lanciato l’allarme nei giorni scorsi lamentandosi del fatto che i giocatori della sua selezione non trovino spazio nei loro club. Lo stesso accade per le altre nazionali giovanili. Le squadre italiane preferiscono puntare su giocatori stranieri a costo ridotto piuttosto che far crescere elementi fatti in casa. Ovvio che poi le nazionali ne risentano, anche se il problema è più complesso, viste le figuracce internazionali del calcio italiano anche a livello di club.
In 12 anni l’Italia ha vinto una sola Champions League e ha raggiunto 4 finali (compresa quella dell’Inter in Europa League). Il problema è profondo e di complicata soluzione. Cercare di dare alle selezioni nazionali un piano di lavoro comune è stata una strada intelligente che ha anche portato un ottimo risultato come la vittoria dell’Europeo. Evidentemente non basta ed evidentemente non si tratta più di una discussione sulle diverse visioni di calcio, se anche una tipologia di gioco come quella di Mancini, fatta di pressing, possesso e calcio collettivo, ha trovato la sua Waterloo (o Corea che dir si voglia). Ora non resta che aspettare una nuova rivoluzione fatta di parole e di cambi nei ruoli chiave. Tutta cambia perché nulla cambi. L’unica reale certezza di questo Paese.