MUSSOMELI -(L’analisi del dott. Mario Difrancesco) – Da qualche mese si ritorna a parlare dell’ospedale di Mussomeli, dopo un silenzio durato quasi cinque anni, o forse anche sei, da quando cioè è stato chiuso il punto nascita e la cosa ci sembrò il furto di un servizio importante e una offesa alla nostra dignità di cittadini. E’ stata la prima crepa nel muro della assistenza sanitaria ospedaliera della zona che si sarebbe allargata fino a provocare quasi un terremoto. A ruota è seguita la chiusura della pediatria, il ridimensionamento delle divisioni restanti e dei servizi di diagnostica radiologica e di laboratorio, la mancata attivazione di reparti che pure erano previsti dal piano sanitario regionale.
La lungodegenza, importante per il proseguimento delle cure nella fase post acuta, ha avuto destino altalenante, prima aperta, poi chiusa poi da riaprire a settembre, a novembre , al massimo a gennaio ora speriamo che sia a marzo. Ritardo, l’ultimo, probabilmente dovuto al riacutizzarsi della diffusione del virus che ha colpito il paese e la zona.
Recentemente è comparsa sui
social più diffusi prima la foto di una manifestazione popolare e istituzionale
( presenti anche i Sindaci della zona con
fascia tricolore e gonfaloni), a difesa dell’ospedale, ricordo di un impegno civile e di una
partecipazione notevoli,e poi la foto di
un articolo di giornale, datato febbraio 2017, nel quale i sindacati del
comparto riportavano le parole del direttore sanitario dell’azienda che
prometteva la apertura della riabilitazione per il primo di marzo.
Nell’articolo non si specificava l’anno, speriamo che possa essere almeno
quello corrente.
Una riflessione che mi viene in mente è che così come si è ligi nell’applicare la legge per le chiusure o per la riduzione dei posti letto si dovrebbe essere solerti nel mettere in funzione i reparti previsti dal piano. Altrimenti a mio parere si configura un comportamento omissivo.
Si ritorna dunque a parlare dell’ospedale non tanto e non solo perché siamo nella imminenza delle elezioni per rinnovo del consiglio regionale, ma perché si nota uno scivolamento in basso della qualità complessiva dell’assistenza erogata. Danno su danno, è chiusa anche la chirurgia.
Restano funzionanti con carenza di personale l’ortopedia e la medicina interna. In un ospedale, se non funzionano i reparti trainanti che sono quelli chirurgici, tutto il resto ne risente. Sono stati attivati dei CAL di dialisi, di oculistica e di endoscopia digestiva , molto utili e molto graditi dai pazienti della zona, con il problema, almeno per la endoscopia, di lunghi tempi di attesa per la presenza di un solo medico. In caso di assenza, per uno qualsiasi dei motivi, si provoca la sospensione dell’attività con allungamento dei tempi di attesa, e ovviamente con disagio dei pazienti. A mia memoria l’organico complessivo dell’ospedale , in oltre quarantanni di attività, forse è stato completo solo per qualche mese.
Bene dunque che si riparli dell’ospedale e che se ne sia parlato nel recente consiglio comunale straordinario, nel quale, a parte la differenza di vedute, sono state proposte alcune linee di intervento possibili per la risoluzione dei problemi che vanno dalla necessità di bandi di assunzione con durata lunga e non per qualche mese, alla possibilità di concedere dei benefit di natura economica ai medici per stimolarli ad accettare incarichi presso l’ospedale di Mussomeli.
Probabilmente se di benefit si deve parlare, gli stessi dovrebbero riguardare la possibilità di avanzamento di carriera. La storia ci insegna che sin dall’apertura dell’ospedale tanti professionisti di valore sono venuti a lavorare qui perché hanno avuto la possibilità di fare carriera, assumendo un primariato che nel loro precedente ospedale non avevano. Assumendo una qualifica superiore tanti hanno accettato anche di spostarsi a distanza di molti chilometri dalla loro residenza e , dopo un periodo più o meno lungo, si sono ritrasferiti nelle loro zone. Quel periodo è corrisposto con il massimo splendore dell’ospedale, il massimo di funzionalità e di attrattività. Oggi qualcosa del genere non è possibile per il declassamento dell’ospedale a ospedale di zona disagiata e di alcune unità operative complesse a semplici, senza più primari ma dei semplici dirigenti responsabili. Allora una battaglia che si dovrebbe fare, viribus unitis, sarebbe quella di fare in modo, impegnando in prima persona i deputati che saranno eletti a rappresentare la nostra zona alla regione siciliana, che nel prossimo piano sanitario regionale l’ospedale venga qualificato come ospedale di zona, non più disagiata, con unità operative complesse, sia cliniche che diagnostiche, in maniera tale che quei medici che aspirano a fare carriera e che lavorano in altri ambienti possano essere stimolati ad accettare, forse anche a ricercare, un trasferimento. Per questo occorre però tanto coraggio da parte dei sindaci della zona, impegno dei deputati e capacità di interferire con la politica regionale sin da quando si comincerà a discutere del nuovo piano regionale.
Una terza possibilità di potere rimettere in sesto le unità operative dell’ospedale è quella del reclutamento di medici provenienti da altri paesi della UE o extra UE. Su questo argomento fondamentalmente è stato improntato il consiglio comunale. Al di là della effettiva praticabilità della proposta mi hanno molto colpito , e mi hanno provocato un senso di preoccupazione,le parole di una deputata componente la commissione sanità, intervenuta alla discussione, che dice: “ tra un po’ le aziende saranno costrette a cercare delle società per fare delle offerte migliorative a giovani e a persone che lavorano per altre aziende, i famosi cercatori di teste”( la parola non è ben comprensibile nella registrazione del consiglio). Personalmente ritengo che questa sia una proposta sulla quale fare attenzione perché, invece di perseguire la via delle assunzioni e dell’inquadramento contrattuale prevede quello che viene definito “ lavoro in somministrazione” attraverso il quale, società o cooperative assumono del personale e poi le “somministrano” alle aziende. Le aziende pagano per intero il costo del servizio secondo gli accordi contrattuali, ma ai “lavoratori” viene corrisposto uno stipendio o un salario inferiore, spesso anche senza diritti, con profitto solo per la società fornitrice. E’ una modalità diffusa soprattutto per il personale parasanitario alla quale purtroppo fa ricorso anche il Servizio pubblico. In altre parole una specie di esternalizzazione di servizi che va alla ricerca del maggiore profitto. Non mi convince molto nemmeno l’idea di aumentare le ore di lavoro fornite dal personale attualmente presente perché si tratterebbe di mettere in serio rischio, più di quanto tuttora avviene, la serenità di lavoro e la salute dei medici e di tutto il personale, già abbondantemente provato.
Infine voglio ancora dire: Sia per la limitazione del numero degli ammessi ad assistere al consiglio dovute alla pandemia sia per qualsiasi altro motivo , la partecipazione dei cittadini è stata molto scarsa. Vedremo cosa “il destino” ci riserva per l’ospedale, ma credo che dovremo stare molto vigili. Forse è meglio accendere un fiammifero anziché maledire l’oscurità.”