La notizia della scomparsa di Emanuele Macaluso, la mattina del 19 gennaio dell’anno scorso, l’ho appresa, prima che dei giornali, da una telefonata di Nicola Boccadutri, a lui molto legato. Nei giorni precedenti Nicola mi aveva informato di una rovinosa caduta di Emanuele, che ne aveva ulteriormente minato la già malferma salute. Appena qualche settimane prima, gli avevo inviato – come facevo sempre in queste occasioni – il mio nuovo libro sui sovversivi siciliani sotto il fascismo, nelle cui pagine era ampiamente citato. Mi legava al vecchio ex dirigente del Pci, nonostante la differenza generazionale, non dico un’amicizia, ma una grande stima; penso reciproca. Quando mi recavo a Roma non era raro ci incontrassimo, per un caffè a Piazza Sant’Eustachio, nella nota e storica caffetteria, proprio nelle vicinanze di Palazzo Madama, frequentata soprattutto da deputati e senatori.
Personalmente debbo ad Emanuele Macaluso l’inizio della mia avventura nella ricerca storica. Era stato lui, assieme al compianto prof. Francesco Renda (mio docente all’Università di Palermo, del quel conservo grande ricordo), a seguire i miei primi lavori sulle lotte contadine e minerarie nella Sicilia del secondo dopoguerra.
Emanuele Macaluso, nel quadro di quelle lotte in provincia di Caltanissetta, e non solo, era stato, assieme a quella generazione di giovani dirigenti politici e sindacali, un “quadro” di assoluto riferimento. Vanno qui ricordati anche i nomi di Calogero Boccadutri, Luigi Cortese, Guido Faletra, Pompeo Colajanni, Salvatore La Marca, Luigi Di Mauro ed altri. Quel giovane dirigente sarebbe poi stato destinato a un lungo impegno e ad una straordinaria carriera politica e giornalistica.
Era nato a Caltanissetta il 21 marzo 1924, figlio di ferroviere. Studente all’Istituto minerario era entrato nel Pci, allora operante clandestinamente sotto il fascismo.
Nel ’44, ancora in amministrazione Alleata, era arrivato l’impegno sindacale come Segretario della Camera del Lavoro di Caltanissetta e di Consigliere comunale. Subito dopo veniva chiamato alla guida della Segretaria regionale della Cgil e, nel 1951, eletto Deputato regionale; carica che avrebbe mantenuto sino al 1963. Nella sua scheda biografica di quegli anni – pubblicata a cura dall’Assemblea Regionale Siciliana – è riportata anche la sua incessante attività di rappresentante dei lavoratori nell’Ente zolfi italiani e di componente di diverse commissioni di studio sull’industria zolfifera.
Nel 1956, intanto, aveva dovuto lasciare il sindacato per dirigere il Pci siciliano, dopo gli anni di guida di Girolamo Li Causi. Dal 1960 diveniva anche componente del Comitato centrale e della Direzione nazionale; avrebbe fatto parte ininterrottamente delle segreterie Togliatti, Longo e Berlinguer.
Deputato nazionale dal 1963 al 1976 e poi Senatore, guidò, all’interno del partito, l’area cosiddetta “Migliorista”, assieme a Giorgio Napolitano, futuro Presidente della Repubblica, al quale rimarrà sempre legatissimo.
Giornalista sin dai tempi del suo impegno sindacale in Sicilia, fu chiamato da Enrico Berlinguer a dirigere l’Unità negli anni ’80, per poi fondare, nel 1992, la rivista Le Ragioni del socialismo ed infine chiamato a guidare Il Riformista, tra il 2011 e il 2012. Ma Macaluso è stato, nel corso dei decenni, anche un prolifico saggista su temi e questioni di analisi storica e politica, con decine di pubblicazioni di grande pregio. Ricordiamo qui solo alcuni titoli: La mafia e lo Stato, I comunisti e la Sicilia, Togliatti e i suoi eredi, Giulio Andreotti tra Stato e mafia, Da cosa nasce cosa, La mafia senza identità e tanti altri titoli. Ha raccontato la sua biografia politica, fornendoci anche uno puntuale spaccato su Caltanissetta e provincia nel suo 50 anni nel Pci.
Furono anni, quelli postbellici nell’isola, nei quali il giovane dirigente Macaluso, giocò un ruolo centrale. Si ricordino le lotte zolfatare e contadine, ma anche la battaglia autonomistica e la parentesi milazzista di cui fu, assieme all’industriale Domenico La Cavera, uno degli artefici. Quell’esperienza vide alla guida della Sicilia una maggioranza eterogenea, che andava dal Pci ai monarchici, dai socialisti alla destra, sino ai fuoriusciti Dc, che relegò, per un momento, lo scudocrociato, allora partito di maggioranza, all’opposizione. Ma il governo guidato da Silvio Milazzo suscitò allora anche tante polemiche all’interno dello stesso Pci. Fu rimproverato da molti come governo dalle formule “consociative”; anche se Togliatti difese sempre l’operato di Macaluso in Sicilia. Su quell’esperienza l’ex Senatore più volte si è soffermato, vedendo in quella parentesi, il tentativo, nonostante limiti e contraddizioni, di dare alla Sicilia una politica economica e di sviluppo in direzione industriale. Il progetto come è noto fallì a causa delle forti spinte conservatrici politiche ed economiche nell’isola. Ed è proprio in quella sconfitta – sosteneva ancora Macaluso – che vanno ricercate molte delle ragioni della parabola discendente della Sicilia nei decenni successivi; ma anche la conclusione della spinta autonomistica.
Emanuele Macaluso, anche negli anni in cui si era ritirato dalla politica attiva, aveva continuato a seguire le vicende nazionali e del mondo, aperto sempre com’era alle innovazioni della società. Sino agli ultimi giorni della sua vita, aveva continuando a scrivere sui social, dandoci preziosi spunti di riflessione.
Con la sua scomparsa se ne è andato un punto di riferimento, non solo per la sinistra.