Da anni truffavano l’Inps facendo percepire indebitamente le indennità di disoccupazione, di maternità e malattia, a persone che in realtà non ne avevano diritto, incassando a loro volta una parte delle indennità.
Con l’operazione “Impero” sono stati individuati dodici appartenenti al gruppo criminale che aveva architettato la truffa. Le accuse nei loro confronti sono di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere, con l’aggravante di aver favorito un clan mafioso, finalizzata alle truffe ai danni dello Stato e ai falsi ideologici, truffe e falsi.
Tra gli indagati ci sono tre uomini finiti in carcere,
perchè indiziati di essere capi e promotori dell’associazione, nonché di far
parte del clan mafioso Santangelo-Taccuni, operante nel territorio di Adrano,
costituente a sua volta un’articolazione territoriale del clan
Santapaola-Ercolano; agli altri nove, sono state applicate le misure cautelari
dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di
dimora.
Nel corso dei due anni di indagini, avviate nel 2018, gli investigatori della Squadra mobile di Catania e del commissariato di Adrano, hanno fatto luce sull’attività del gruppo criminale. Attraverso ditte compiacenti o costituite proprio a tal fine, gli indagati facevano risultare a favore di alcune persone, un numero di giornate lavorative nel settore dell’agricoltura idoneo a far percepire, indebitamente, le indennità da parte dell’Inps.
Per raggiungere lo scopo alcuni complici si intestavano fittiziamente ditte operanti nel settore agricolo, trasmettendo all’Inps le domande per ottenere le indennità di disoccupazione e dei connessi benefici fiscali, previdenziali ed assistenziali, corredate da una serie di false dichiarazioni, a favore di falsi braccianti agricoli i quali poi, versavano una quota delle somme ricevute agli stessi organizzatori della truffa.
Individuati più di 80 falsi braccianti agricoli e anche un ragioniere accusato di controllare e curare la corretta tenuta della falsa documentazione. Una parte dei “guadagni”, nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro, andava poi alle famiglie mafiose che “permettevano” la truffa.