Quando si richiede una visura al Catasto di un immobile o un terreno, si ottiene un documento tecnico all’interno del quale sono riportate tutti i dati catastali più significativi del bene visurato. Tra le tante voci, vi è la rendita catastale, un valore fiscale che serve, tra le altre, a determinare l’ammontare dell’Imposta Municipale Propria (IMU). In questo articolo vedremo di cosa si tratta nello specifico e come viene calcolata.
La rendita catastale è ancora oggi definita dall’articolo 23 del Regio decreto-legge n. 652 del 13 aprile 1939, poi entrato in vigore il 9 giugno del 1948. Il dispositivo stabilisce che la rendita catastale è la base per determinare l’ammontare del reddito imponibile “soggetto alle imposte ed alle sovraimposte”. L’articolo 8 (in vigore dall’8 gennaio del 1990) del medesimo decreto introduce la divisione delle unità immobiliari, “a seconda delle loro condizioni intrinseche ed estrinseche”, per la determinazione della rendita, in diverse categorie e classi, per ciascuna delle quali viene determinata una tariffa specifica.
Come spiega il sito specializzato www.ivisura.it,
il calcolo della rendita catastale si effettua moltiplicando la consistenza dell’immobile (espressa in metri
quadri oppure in vani) per il
coefficiente riportato nelle tariffe
di estimo elaborate dall’Agenzia del Territorio. Tali coefficienti sono
determinati in base alla zona censuaria, alla categoria catastale ed alla classe
di merito dell’immobile.
La zona censuaria, stando a quanto si legge sul sito ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, rappresenta una “porzione omogenea di territorio comunale” all’interno della quale “la redditività dei fabbricati è da considerarsi uniforme”. Di solito, nei comuni medio piccoli la zona censuaria comprende l’intero territorio comunale mentre quelli più estesi possono essere divisi in due o più zone. Per ciascuna esiste un quadro tariffario specifico, accessibile consultando gli uffici provinciali dell’Agenzia del Territorio.
La categoria catastale, invece, è il codice che identifica il tipo di immobile; quelli per uso abitativo, ad esempio, rientrano nella categoria A, all’interno della quale sono individuate diverse sottocategorie più specifiche. Infine, la classe di merito è il parametro che indica la produttività dell’immobile (categorie A, B o C) o del terreno (in base ad una determinata coltura).
Questi parametri vengono utilizzati per calcolare la rendita catastale degli immobili che rientrano nelle categorie A, B e C mentre per le unità immobiliari di categoria D e E, il valore viene individuato attraverso una stima diretta.
Come già accennato, la rendita catastale viene utilizzata per calcolare l’IMU; in realtà, poiché questo parametro, nel corso degli anni, si è rivelato sostanzialmente inadeguato allo scopo, nel 1997 è stata introdotta la rivalutazione del 5% della rendita, ai fini del calcolo dell’imposta municipale unica.
La rendita catastale serve anche a determinare il valore catastale (o “valore erariale”) degli immobili (detto anche “rendita rivalutata”), ossia la base imponibile per il pagamento delle imposte. Tale valore si ottiene moltiplicando la rendita per un coefficiente prestabilito in base alla categoria catastale di appartenenza dell’immobile ed alla destinazione d’uso di quest’ultimo. Per i fabbricati di categoria A, B e C (esclusi A10 e C1), il coefficiente di moltiplicazione è 115,5, nel caso si tratti di prima casa, oppure 126, per le seconde case.
Il valore catastale, determinato in base alla rendita di un immobile, serve anche a determinare le imposte sulle successioni ereditarie e le donazioni, quelle ipotecarie e catastali. Le prime sono tributi dovuti in occasione dell’espletamento di una qualsiasi formalità presso i registri immobiliari come, ad esempio, trascrizioni, annotazioni, cancellazioni e rinnovi implementati nei registri di Conservatoria. Le imposte catastali, invece, sono le tasse da pagare quando si esegue una voltura catastale.