È stato uno dei pochi “padri” della nostra città: Mons. Liborio Campione ha lasciato questa terra a 96 anni, 73 dei quali vissuti da sacerdote, totalmente dedicati alla Chiesa e al popolo di Dio, con tanti ruoli di responsabilità ma sempre con lo sguardo aperto e attento su una società in trasformazione, spesso smarrita, fragile, a cui ha offerto con generosità e sapienza la sua visione di speranza cristiana saldamente radicata nella storia.
Ha vissuto intensamente, “sul crinale del mondo moderno” (come scriveva Mons. Cataldo Naro, suo allievo in Seminario), testimone autorevole di una Chiesa che sapeva tenere le porte aperte, dialogare e incontrare autenticamente vicini e lontani, senza preclusioni e senza pregiudizi, portando la forza della visione cristiana in tutti gli ambiti della società, in una lunga stagione che ha visto intrecciarsi svolte storiche e processi di trasformazione, momenti difficili, a volte drammatici, e occasioni di grande entusiasmo.
Interprete autentico dello spirito del Concilio, è stato il primo sacerdote a celebrare la Messa in italiano in Diocesi, il 10 febbraio 1967, due anni dopo la “rivoluzione” conciliare nella liturgia, ed è stato comunicatore impareggiabile, capace di affascinare chi lo ascoltava con la limpida profondità della sua parola, catturandone per ore l’attenzione anche con la sua conversazione brillante e documentatissima, antiretorica e dotata di elegante autoironia, che poteva affrontare qualsiasi argomento con competenza e profondità pari alla sua fascinosa affabulazione che rendeva accessibili a tutti anche le argomentazioni più complesse.
Mons. Campione era nisseno, profondamente ed autenticamente nisseno, radicato nel tessuto sociale della città e delle campagne che ha sempre avuto nel cuore: e ha saputo rappresentare sempre in modo esemplare una “nissenità” fatta di vivacità intellettuale e di apertura culturale, ma libera dal limite “genetico” della polemica distruttiva e della mormorazione.
È stato la memoria storica della Chiesa nissena, nell’abbraccio della quale ha vissuto per quasi un secolo: nato nel 1925, entrato in Seminario a 15 anni, nel 1940, sacerdote nel 1948, ordinato dal Venerabile Vescovo Mons. Jacono, sempre inviato in “terra di missione”, come nel 1952, a fondare la Parrocchia nel Villaggio S. Barbara mentre seguiva contemporaneamente quella di Borgo Petilia.
Licenza in Teologia morale alla Pontificia Università Angelicum di Roma, ha coniugato l’attività di assistente spirituale di tante realtà associative (Azione Cattolica Giovani dal 1948 al 1961 e Assistente Regionale dal 1977 al 1985) con l’impegno di educatore e di docente, in Seminario (di cui è stato Direttore Spirituale dal 1952 e poi Rettore dal 1965 al 1972) e nelle scuole pubbliche. Vicario generale, alter-ego di Mons. Garsia per quasi tutto il suo episcopato e poi “traghettatore” intelligente nei primi anni del ministero del nostro Vescovo Mario, fino al 2009.
Benvoluto da tutti quelli che hanno avuto modo di conoscerlo e stimato senza riserve da persone di ogni appartenenza sociale e di ogni cultura politica, antropologicamente “ecumenico”, capace di valorizzare il buono che ci può essere in ciascuno, di consigliare, di incoraggiare, di consolare e di sostenere, mantenendo sempre la libertà e l’autorevolezza di una guida spirituale autentica, di un educatore dal tratto affettuoso e dal sorriso accogliente, di cui si poteva leggere anche il non detto, protetto dalla sua discrezione.
Figura fondamentale di riferimento per i laici e con loro protagonista dello storico Convegno “Evangelizzazione e promozione umana”, nel 1976, delegato vescovile nella la Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali sin dalla sua fondazione e per oltre un decennio, con intelligenza paziente, sempre disponibile ad ascoltare senza mai giudicare, condannare o respingere,
capace anche di mettersi in discussione nell’approccio alle novità e persino alle contestazioni, senza mai rinunciare ai capisaldi di una identità di sacerdote e di educatore profondamente strutturato e solido nei valori del suo orizzonte spirituale.
È stato uno dei primi sacerdoti nisseni ad indossare il clergyman al posto dell’abito talare, ma nessuno avrebbe mai potuto scambiarlo per un non sacerdote, nella semplicità rigorosa del suo stile, del suo portamento e del suo sguardo limpido, trasparenza di una eleganza interiore autentica e di una spiritualità raffinata quanto dialogante anche con le contraddizioni della quotidianità delle persone.
Fino agli ultimi anni della sua lunga esistenza ha offerto con generosa disponibilità la sua capacità di ricostruire con lucidità ed equilibrio momenti e vicende della storia della città e della Chiesa, al servizio di una lettura e di interpretazioni che superassero la retorica accomodante delle versioni ufficiali e gli stereotipi consolidati. Senza mai smettere di leggere, di aggiornarsi, di seguire tutte le novità della cultura contemporanea, nella letteratura, nel cinema, nell’arte, per contestualizzare la sua narrazione teologica nel vissuto dei suoi interlocutori, capace di farsi comprendere subito da tutti, credenti, non credenti e cristiani “sulla soglia”, ai quali sembrava sempre pensare nell’orizzonte del suo “storytelling”: mai “hortus conclusus” clericale, ma sempre parola di relazione, di ricerca, di nuove domande imprevedibili che solo chi sa volgere lo sguardo in alto è capace di riconoscere.