Mussomeli, Calogero Barba in una tesi universitaria

MUSSOMELI – Si è ritrovato oggetto di studio in un’articolata tesi universitaria il prof Calogero Barba, 63enne artista nativo di Mussomeli che, tra le tante iniziative intraprese nella sua quarantennale attività, fu tra gli ospiti alla 54° Biennale di Venezia, presso il Padiglione Italia “Lo stato dell’arte nel 150° dell’Unità d’Italia,” con l’opera: L’Ora X, 2001 in legno, ferro, cera d’api, pigmenti e pittura ad olio.

Studi all’Accademia di Belle Arti di Palermo, Calogero Barba nel 1980 approda alla ccultura e grazie alla frequentazione delle Gallerie d’Arte e degli studi di alcuni artisti palermitani matura la conoscenza del divenire dell’Arte Visiva. Il 1986 è l’anno in cui inizia i progetti a carattere antropologico. Nel 1990 entra in contatto con Francesco Carbone e collabora alla formazione del gruppo di Arte Antropologica Contemporanea.

Tante da allora le mostre e i riconoscimenti. Nel 1995 viene selezionato come artista siciliano a partecipare con un’installazione plastica alla “Biennale Internazionale di Marsiglia” in Francia. Nel 1996 è presente all’Oratorio di San Sebastiano di Forlì con la mostra “Ulisse”. E’ stato anche invitato alla rassegna “Il Perugino”, tenutasi al CERP, Rocca Paolina di Perugia e ha preso parte a diverse mostre all’estero: Finlandia, Ungheria, Germania, Spagna.

Da anni si occupa di libri d’artista, sia come operatore culturale sia come artista librista. Come organizzatore realizza in Sicilia il primo evento di Net Art dal titolo “Poesia Globale, Net-Action virtuale e reale 2002”, evento poetico svoltosi al Qal’At artecontemporanea di Caltanissetta e in contemporanea in varie località del mondo attraverso il collegamento diretto in internet.

Una vita artistica intensa, insomma, di cui quelli sopra sono solo degli accenni e certo non si aspettava di ritrovarsi tra le pagine che Giuliana Giaquinta, dell’università degli studi di Catania dipartimento di Scienze umanistiche corso di laurea magistrale in storia dell’arte e beni culturali, ha discusso con la sua tesi dal titolo “L’arte antropologica in Sicilia. Francesco Carbone, Giusto Sucato, Calogero Barba.”

L’artista viene presentato in quattro capitoli: La formazione e gli esordi nell’Arte Antropologica; Scrittura, colore e giochi di parole; Verso gli anni Duemila; Intervista a Calogero Barba.

“Ricordo che a quattro o cinque anni –confida l’artista a Giaquinta- mi dilettavo a disegnare. Era il mio passatempo preferito. A dieci anni cominciai a realizzare le prime pitture. Mia madre, che aveva intuito il mio talento, appoggiava questa attitudine cedendomi le sue lenzuola che diventavano il supporto per i miei dipinti. Al mio paese, non esistevano ancora le tele, ero io che mi fabbricavo il telaio. E non esistevano nemmeno i colori a olio, così dipingevo con gli smalti. Una volta cresciuto è stato naturale iscriversi all’Istituto d’arte di San Cataldo e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Palermo.”

E ancora: “Sono nato a Mussomeli, nell’entroterra siciliano, un paese che basava la sua economia sull’ agricoltura e sulla pastorizia. Nascere lì mi ha permesso di entrare in contatto con quella civiltà agropastorale, che negli anni Ottanta andava scomparendo, i cui manufatti sono stati fonte d’ispirazione per i miei lavori. Anche la scoperta del paesaggio archeologico è stato significativo. Durante la prima adolescenza andavo con gli amici e mio fratello nella necropoli di Polizzello o in contrada Raffe. Amavamo arrampicarci sulle rocce alla scoperta delle grotte, sperando magari di trovarvi qualche tesoro dimenticato dai tombaroli che avevano già saccheggiato tutto. Era un momento particolare perché ci sentivamo liberi nella vastità del territorio e ci godevamo il silenzio. Probabilmente da lì nasce il mio interesse per i sacelli. Alcuni degli elementi che caratterizzano le mie ricerche in campo artistico, certamente prendono le mosse dal mio vissuto e quindi dalla mia terra.”

E la memoria di Barba diventa antropologica quando ricorda ancora:  “Negli anni Ottanta mi sono reso conto che era in atto un processo di cambiamento che avrebbe portato alla sparizione della civiltà contadina. Ad esempio, vicino casa mia si trovavano abitazioni di contadini che tenevano i propri animali. Ho visto nel giro di poco tempo sparire questi animali perché era stato fatto divieto di tenerli nel centro abitato. Così compresi che era necessario mantenere viva la memoria di questa civiltà e cominciai a documentarmi sul nostro passato recente. Per prima cosa andai con la mia reflex a fotografare la collezione del museo etnografico Pitrè, poi cominciai la mia raccolta di attrezzi e strumenti da lavoro. Quest’ultima non è stata semplice poiché la gente non sempre ti concedeva le proprie cose, così quando non mi era possibile reperire questi oggetti, li ricreavo da me, come ho fatto con il circu. A Palermo studiavo scultura, ma ogni volta che tornavo in paese sperimentavo con questi oggetti progettandone graficamente un assemblaggio. L’opportunità di far emergere i miei lavori, la trovo con Carbone. Lui aveva un attività abbastanza avviata non solo in campo artistico. Praticava già da anni le ricerche in ambito antropologico, anche perché era molto più grande. Insomma fu l’incontro con Carbone che mi permise di fare il salto e di mettere un momento da parte la scultura e la pittura tradizionalmente intese.” (FONTE: LA SICILIA Roberto Mistretta)

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