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La strategia diplomatica di Draghi è il modo migliore per salvaguardare il futuro della Libia?

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Il 31 maggio scorso Mario Draghi ha ricevuto il premier del governo transitorio libico (GNU) Abdelhamid Dbeibah, arrivato a Roma da Tripoli insieme a sette ministri per la prima visita ufficiale in Italia da quando ha assunto la carica. Al centro del dialogo tra i premier il tema migranti e la ripresa economica dei due Paesi: “Siamo tornati alle ottime relazioni bilaterali” e “vorremmo riattivare tutti i memorandum di intesa, tutti gli accordi e aprire orizzonti per incrementare lo scambio commerciale con l’Italia” – queste le dichiarazioni di Dbeibah al termine dell’incontro, cui ha fatto eco Draghi: “La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l’Italia continua a essere sempre più fertile e viva” e “L’Italia è determinata a continuare ad aiutare la Libia insieme ai partner internazionali”. Il vertice a due è avvenuto dopo che in mattinata Dbeibah ha partecipato al forum economico alla Farnesina dal titolo “La Libia si presenta alle imprese italiane”, dove si è confrontato con i rappresentanti di grandi gruppi industriali italiani – tutti interessati alla ricostruzione della Libia, per la riattivazione di investimenti infrastrutturali ed energetici. Ma con una posta in gioco così importante – Dbeibah si appresta a traghettare la Libia verso le elezioni il prossimo 24 dicembre – i commentatori si chiedono se una strategia di pura diplomazia sia realistica e utile nel Paese, martoriato da anni di guerra civile e politicamente polarizzato.

L’incontro tra Draghi e Dbeibah: l’intesa c’è, ma il governo libico è in carica solo fino a dicembre

Il contesto della Libia resta infatti di grande fragilità. Dopo il rovesciamento nel 2011 di Gheddafi, non sono più cessati i conflitti tra le fazioni che si contendono il controllo del Paese – da un lato il comandante militare della Libia orientale Khalifa Haftar, dall’altro il Governo di Accordo Nazionale (GNA), sostenuto militarmente e finanziariamente dalla Turchia (che ha inviato nel Paese mercenari siriani pro-Assad, droni e consiglieri). Il primo parziale epilogo c’è stato il 23 ottobre del 2020, con la firma dell’accordo per il cessate il fuoco, che ha portato alla costituzione del GNU in vista dello svolgimento delle elezioni. Alla luce di ciò, nel corso dei colloqui a Palazzo Chigi, Draghi ha affermato che l’Italia intende restare a fianco del Paese in questa complessa transizione: prioritaria è l’attuazione completa dell’accordo sul cessate il fuoco, a partire dal ritiro di tutte le forze e i mercenari stranieri, nonché la riunificazione delle istituzioni politiche, economiche e di sicurezza in vista delle elezioni di fine anno e il successivo processo di riconciliazione. Altro tema affrontato, quello energetico: Draghi ha affermato che “le nostre società sono pronte a collaborare nelle energie rinnovabili. Alla base di tutto c’è una necessità, quella di mettere in sicurezza coloro che dovranno mettere a terra questi progetti”, riferendosi alla gestione dell’emergenza Covid-19 e alla distribuzione dei vaccini. E sul fronte sanità, l’Italia si impegna nel potenziamento del tessuto sanitario libico, con la ricostruzione degli ospedali nel Paese. Ma la definizione di tutti questi programmi sta avvenendo con un governo provvisorio, che – se tutto va secondo i piani – a dicembre dovrebbe levare le tende.

Su chi potrà succedere al provvisorio Dbeibah per formare un governo che ci si auspica stabile e duraturo, non ci sono ancora certezze. C’è chi sostiene che un candidato ideale per la leadership possa essere proprio il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Francia, Russia ed Emirati Arabi Uniti. È lui che ha combattuto i militanti islamici – dal 2014 in poi, fino al tentativo del 2019 di prendere Tripoli – e ha costruito una solida base di sostegno tra le tribù influenti della Libia orientale, così come il vicino Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. In questo quadro complicato, il feldmaresciallo continua a essere considerato leader de facto dal 70% del Paese, controllando anche la maggior parte delle risorse naturali della nazione. Anche se nulla è ancora confermato, gli osservatori ritengono che Haftar stia comunque lucidando la sua immagine politica in vista delle elezioni, presenziando a comizi pubblici e promettendo di migliorare le condizioni di vita dei cittadini.

La Libia verso le elezioni: chi potrebbe uscire vittorioso dalle elezioni, e quali le conseguenze

Se non Haftar, chi altri potrebbe ambire al potere? L’alternativa al feldmaresciallo potrebbero essere i suoi rivali del precedente Governo di Accordo Nazionale. E se la maggioranza dei rappresentanti politici del GNA è moderata, esiste una forte minoranza di partiti islamisti– tra questi i gruppi di jihadisti e mercenari finanziati dalla Turchia, che però godono di scarsa popolarità nel Paese, e i Fratelli musulmani. Entrambi sono legati alla crescente influenza di gruppi ISIS destabilizzanti nel Paese. Per accrescere l’appeal e il consenso presso gli elettori, tra l’altro, i Fratelli musulmani si sono recentemente convertiti in un’organizzazione non governativa (ONG) e ha cambiato il suo nome in Società di Resurrezione e Riforma, “al fine di rilanciare l’appello della comunità ad obbedire all’approccio della via di mezzo e agli insegnamenti dell’Islam” – come è stato dichiarato sulla pagina social a inizio anno. Una situazione complessa, dunque, da gestire con cautela: la Libia dovrà mettere d’accordo gli elettori e scegliere una via per il post elezioni. Dall’altra parte, gli Stati esteri dovranno fare di tutto per sostenere il Paese in questa complessa transizione, pensando a cosa accadrà dopo.

E l’Italia, che tanto ha da guadagnare o da perdere in base all’esito delle elezioni, dovrebbe usare una strategia lungimirante. Piuttosto che concentrarsi sull’arte della diplomazia con l’effimero governo di unità, Roma non sarebbe forse più saggia se si concentrasse sul futuro della Libia post-elezioni? Draghi dovrebbe guardare più lontano e aspirare a creare accordi più lungo termine: il gioco deve valere la candela.

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