Non è vero che il virus non colpisce i più giovani: li ha colpiti invece con forza e rischia di lasciare un segno forte, sia sul loro corpo che sulla loro psiche. Quanto la pandemia abbia avuto un impatto su bambini e ragazzi, è ormai un fatto risaputo. I numeri però possono aiutare a comprendere le dimensioni del problema e soprattutto l’urgenza di interventi strutturali, che permettano di limitare i danni.
A questo proposito Redattore Sociale ha interpellato Francesco Silenzi, pediatra dell’ospedale Meyer e consigliere direttivo del Cismai. Da oggi e fino all’11 giugno sarà presente al Congresso internazionale ISPCAN, organizzato dal Cismai e dedicato al tema del maltrattamento in famiglia. – Con la pandemia, sono aumentati o diminuiti gli accessi di bambini/e e ragazzi/e in ospedale? “Da una parte, si è verificata una riduzione del 40% in media degli accessi ospedalieri ed una ancor maggiore riduzione degli accessi ambulatoriali”.
– Un buon segno? “Tutt’altro: se leggiamo questo data nel contesto della sospensione e/o riduzione della frequenza scolastica, la sospensione dell’attività sportiva e ludico-motoria ed il conseguente maggior uso dei devices, ci troviamo di fronte ad un aumento drammatico del fenomeno del disagio ed isolamento giovanile. Nel caso dei bambini molto piccoli si è assistito ad un incremento significativo del ritardo o disturbo del linguaggio, della disregolazione emotiva e del ritardo psicomotorio.
Nel caso degli adolescenti 4 su 5 riferiscono di aver sperimentato disagio emotivo e quasi 1 su 5 riferisce di aver tentato episodi di autolesionismo. La sospensione o riduzione dell’attività scolastica ed in generale dei servizi alla persona hanno fatto sì che venisse meno quell’attività di controllo e prevenzione dei contesti di abuso e violenza e favorito altresì l’aumento di relazioni non positive, che hanno contribuito a incentivare fenomeni negativi tra cui bullismo e cyberbullismo”.
– Come hanno reagito bambini/e e ragazzi/e? “Facendo aumentare gli accessi in emergenza psichiatrica. Già negli ultimi decenni si era riscontrato un netto aumento dei casi di emergenza psichiatrica in età evolutiva: circa il 2-5% di tutti gli accessi in un Dipartimento Emergenza e Accettazione (Dea) pediatrico è riconducibile a questo tipo di necessità. Di questi pazienti, circa il 20% richiede un ricovero immediato in una struttura ospedaliera, più del doppio di quanto osservato in soggetti senza un disturbo mentale.
Nell’ultimo anno, si è registrato un incremento degli accessi in Dea per disturbi psichici in età evolutiva pari al 16%. È importante sottolineare che, nella casistica generale dei bambini e degli adolescenti, la maggior parte delle urgenze è riconducibile o ad un tentativo di suicidio oppure a episodi di aggressività auto o eterodiretta. Ovviamente ciò si riflette significativamente sulla gestione, spesso delicata, dei pazienti e del loro disturbo.
Non dobbiamo sottovalutare che la psicopatologia dell’età evolutiva rappresenta un fattore di rischio aggravante rispetto all’età adulta, in ragione dell’interferenza della stessa con il fisiologico sviluppo adolescenziale”. – E qual è stato l’impatto sulle famiglie, specialmente su quelle più “fragili”? “L’isolamento e le restrizioni hanno contribuito ad amplificare le carenze emotive che già affliggevano il contesto familiare, impoverendo ulteriormente le relazioni e favorendo episodi di violenza fisica e psicologica diretta o assistita.
Tali fenomeni, oltre agli effetti negativi a breve termine sono assai gravi per gli effetti nel tempo su attuali bambini e futuri giovani adulti”. – Da dove bisogna ripartire adesso? “Se consideriamo che il suicidio e i comportamenti suicidari possano e debbano essere prevenuti, i bambini e gli adolescenti appaiono come una popolazione da privilegiare per un intervento precoce. Fino ad oggi il Servizio Sanitario Nazionale ed i Servizi territoriali in genere hanno lavorato avvalendosi dell’impegno e del sacrificio degli operatori e delle risorse a disposizione ma non hanno potuto far fronte a tutte le richieste e situazioni.
D’altronde in situazione emergenziale questo è quanto è stato possibile fare. Ma è necessario fare di più e meglio. Le strategie di prevenzione, data la eziologia multifattoriale del suicidio e dei comportamenti suicidari, richiedono un’azione coordinata ed integrata tra più settori della società, quali il settore sanitario, l’istruzione, il lavoro, la legge, la politica e i media. Tutti noi operatori, a vario titolo impegnati in questo difficile settore dovremo garantire il massimo dell’impegno e della professionalità per far fronte alle conseguenze dell’emergenza.
Occasioni come il Congresso Internazionale Ispcan che si apre oggi rappresentano un’incredibile opportunità per la nostra crescita umana e professionale. In conclusione, come Cismai da anni va invocando, al fine di garantire la salute fisica e psichica in età evolutiva sono necessari maggiori consapevolezza e lungimiranza a livello istituzionale e coordinamento nella organizzazione e nel rafforzamento dei differenti livelli di cura, con strategie di politica sanitaria a partire dai servizi territoriali fino alla riorganizzazione delle emergenze ospedaliere nell’ottica di una adeguata prevenzione. Per far ciò è necessario investire risorse economiche significative nell’ottica di un enorme risparmio garantito rispetto alle spese da sostenere da parte della collettività per le cure successive”.