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Caltanissetta, depistaggio via D’Amelio. Ex direttore Pianosa: “Mai denunce da Scarantino”

Redazione

Caltanissetta, depistaggio via D’Amelio. Ex direttore Pianosa: “Mai denunce da Scarantino”

Lun, 21/06/2021 - 17:46

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“Vincenzo Scarantino mangiava regolarmente e non ho mai ricevuto nessuna denuncia per maltrattamenti o perche’ il cibo non fosse buono”. Lo ha detto Vittorio Cerri, direttore del carcere di Pianosa dal dicembre ’93 all’agosto 94, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio che si celebra nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta nei confronti di tre poliziotti, accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

“Escludo – ha detto il teste rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto – che venissero messi dei vermi nel suo cibo e non lo ritengo verosimile. Il cibo destinato a Scarantino veniva prelevato dalla cucina e gli veniva portato da persone di mia fiducia. Questo succedeva per tutti i detenuti segnalati dal ministero”. L’ex direttore del supercarcere ha anche affermato di aver visto l’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera due-tre volte a Pianosa. In una di queste occasioni c’era anche l’allora pm Ilda Boccassini. In ogni caso tutto veniva annotato in un registro. “C’era – ha spiegato – un’apposita sala dove si svolgevano i colloqui”.

 Il falso pentito “voleva fuggire dal residence di Jesolo dove era stato portato nell’0agosto del 1994. Non gli piaceva l’alloggio. Era sempre nervoso, infastidito, impaziente. Ricordo la difficolta’ dei bambini ad avvicinarsi a lui”, ha invece affermato Rita Loche, una poliziotta che nel ’92, era in servizio alla Squadra mobile di Palermo, deponendo al processo sul depistaggio delle indagini successive alla strage di via d’Amelio che si celebra nell’aula bunker del carcere di Caltanissetta nei confronti di tre poliziotti accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

La poliziotta, componente del gruppo Falcone-Borsellino, per alcuni giorni, dal 12 al 25 agosto ’94, si occupo’ di offrire assistenza a Scarantino e alla sua famiglia quando il falso collaboratore di giustizia era a Jesolo. “Scarantino – ha detto la teste rispondendo alle domande dell’avvocato Giuseppe Panepinto – si esprimeva poco e male in italiano, parlava in dialetto siciliano. A un mio collega riferi’ che era stato a Pianosa, gli disse che si era trovato male e ne parlava come un periodo di sofferenza. A Jesolo non ho mai visto un magistrato ne’ un funzionario del gruppo Falcone-Borsellino. Mi occupavo prevalentemente delle esigenze della moglie e dei bambini”. Il processo riprendera’ il prossimo 28 giugno. 

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