Il 9 aprile 2014, a seguito del ricorso presentato dai tribunali di Firenze, Milano e Catania, la Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità della legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita (Pma), nella parte in cui vietava il ricorso a un donatore/donatrice esterni di ovuli o spermatozoi in casi di infertilità assoluta.
Quel giorno, con la sentenza numero 162, la Consulta ha così ammesso anche nel nostro Paese la fecondazione eterologa.
In Italia le coppie che non possono concepire per mancanza di gameti idonei possono quindi accedere alla donazione sia per la parte maschile che per quella femminile.
Una procedura sicura, che ha consentito a molte famiglie di coronare il sogno di un figlio.
In particolare, secondo il registro Pma dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sono stati 601 i bimbi nati grazie alla donazione dei gameti relativamente ai trattamenti eseguiti nel 2015; poi 1.457 nel 2016, 1.737 nel 2017 e 2.002 nel 2018.
In totale, 5.797 bambini, guardando agli ultimi dati disponibili.
“Il 2018 – spiega Filippo Maria Ubaldi, presidente della Società italiana di Fertilità e Sterilità-Medicina della riproduzione (Sifes-Mr) – è l’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati ufficiali e, da quando è stato eliminato il divieto di donazione di gameti, nel nostro Paese sono dunque nati almeno 6.000 bambini.
Ma dall’esperienza dei centri italiani di Pma, si può certamente affermare che i bimbi nati grazie all’eterologa sono sempre più numerosi, di anno in anno: possiamo stimare che arrivino a circa 10.000 (ipotesi di ulteriori 2.000 nati da eterologa nel 2019 e 2000 nel 2020, non essendo ancora disponibili i dati ufficiali Iss).
Il successo di questa tecnica è dovuto al fatto che riesce a risolvere in molti casi problematiche legate all’infertilità maschile, alla menopausa precoce, ma soprattutto alla ricerca di una gravidanza quando la donna ha più di 42-43 anni, la situazione più comune per il quale le coppie si rivolgono a un centro per la fertilità: il procrastinare la maternità, molto spesso perché si hanno problemi nel trovare una stabilità lavorativa e il sistema di welfare non aiuta gli aspiranti genitori, porta inevitabilmente a una degenerazione dei gameti femminili, per cui è necessario ricorrere all’ovodonazione.
Essa consente a una donna di 42-43 anni, che non arriverebbe al 10% di chance di concepire, di aumentare le possibilità almeno fino al 40%. Ma pur potendo risolvere il problema della bassa qualità ovocitaria, le donne che scelgono questa opzione vanno sempre informate correttamente sui potenziali rischi ostetrici legati a una gravidanza in età più avanzata rispetto alla media: fino al I trimestre di gravidanza i rischi sono gli stessi a tutte le età, però dopo, nel corso del II e III trimestre, diventano importanti le condizioni dell’utero, l’elasticità e la vascolarizzazione dei tessuti, e possono aumentare i rischi ostetrici e il pericolo di parto pretermine, diabete gestazionale e ipertensione”.
“Sono trascorsi ormai 7 anni dalla cancellazione di un divieto che è avvenuta per iniziativa di persone con problemi di infertilità, che hanno chiesto ai giudici di tutelare i loro diritti – commenta Filomena Gallo, consigliere Sifes-Mr, avvocato che ha difeso le coppie ricorrenti alla Consulta e segretario dell’associazione Luca Coscioni – ma dobbiamo purtroppo affermare che da allora la politica non ha fatto nessun passo in avanti sui temi che riguardano la salute riproduttiva.
E’ grave che dopo 7 anni da una sentenza che ha riaperto a una tecnica che veniva applicata fino al 2004 senza difficoltà e nel rispetto di leggi internazionali e decreti italiani, questa procedura non venga erogata in modo uniforme dalle strutture pubbliche e non ci siano nomenclatori tariffari sulle prestazioni incluse nei Lea con spesa a carico del Ssn (tutte tranne la diagnosi pre-impianto).
Scegliere di costruire una famiglia, per chi ha i requisiti per accedere alla Pma nel sistema sanitario nazionale, è diventato molto difficile. Pensiamo a chi risiede in Puglia: non è possibile effettuare l’eterologa e se si va in altre Regioni si deve sottostare a rigidi limiti sul rimborso. In Sicilia, la coppia può fare eterologa solo nel privato o fuori Regione (dove non riceve rimborso se si rivolge a strutture private) perchè la Sicilia non ha indetto nessuna procedura per reperire i gameti. Spesso diventa quindi una questione di denaro: sì, nel nostro Paese il sogno di costruire una famiglia e la tutela del diritto alla salute devono spesso sottostare a una discriminazione su base economica”.
Ancora, fanno notare Ubaldi e Gallo, “in Italia manca ancora oggi la cultura della donazione dei gameti e non è ancora stato stabilito un rimborso adeguato per le donne che scelgono questa opzione: in tutta Europa questo rimborso non supera i 1000 euro e viene sempre rigidamente rispettato il divieto di commercializzazione degli ovociti, vigente in Italia come all’estero. Il nostro Paese importa gameti soprattutto dalla Spagna, quindi, ma se una donna italiana volesse donare i suoi ovociti non sono nemmeno stati fissati i codici per gli screening e dovrebbe farsi carico anche delle spese di preparazione alla procedura”.
E il quadro non ha fatto che peggiorare con la pandemia: “Lo scorso anno – ricorda Filomena Gallo – c’è stato un blocco di 3 mesi delle procedure di fecondazione assistita e nelle Regioni dove sono stati stabiliti limiti di età quel blocco non ha tenuto conto del tempo che passava.
Solo Toscana, Lazio e Campania hanno prorogato questo limite anagrafico: le coppie di altre Regioni hanno visto scemare la possibilità di accedere alla Pma a carico Ssn e chi invece è ancora in tempo ha visto le liste di attesa allungarsi. Occorrerebbe un principio di garanzia per queste coppie, per di più la situazione economica del nostro Paese è drammatica, molti redditi sono scomparsi, provare a fare famiglia è molto arduo: sono pochi coloro che ci riescono, molti quelli che devono rinunciare”.