Al processo “trattativa Stato mafia” in corso alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, potrebbe di prolungarsi l’istruttoria dibattimentale a causa di nuovi elementi raccolti dalla Procura generale relativamente alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Pietro Riggio, Carmelo Barbieri (entrambi di Resuttano) e Ciro Vara (di Vallelunga).
Per quanto riguarda i primi due, la Procura ha acquisito altro materiale probatorio, dopo le recenti deposizioni al dibattimento del generale dei carabinieri in pensione, Angiolo Pellegrini e del colonnello Alberto Tersigni sul rapporto confidenziale di Riggio, a cominciare dal 2000, con i carabinieri e ai rapporti che lo stesso agente della Polizia penitenziaria avrebbe avuto con la Dia di Palermo in quegli anni.
Il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici, nell’ultima udienza, ha detto alla Corte che «le audizioni del generale Pellegrini e del colonnello Tersigni hanno indotto la Procura generale ad acquisire ulteriori informazioni» a causa delle «notevoli criticità per le quali si riserva approfondimenti in requisitoria finale». Per il pg Fici «Pellegrini e Tersigni non hanno aiutato la Corte a capire come sono andate le cose.
I vuoti dei due ufficiali rafforzano, ad opinione dell’ufficio, le dichiarazioni di Riggio»: da qui la richiesta di risentire al processo i due ufficiali dell’Arma per chiarimenti.
Il materiale probatorio che la Procura generale ha acquisito, è stato esposto dallo stesso pg Fici il quale ha stigmatizzato la mancanza di relazioni della Dia di Palermo con il confidente Pietro Riggio per 16 mesi e c’è pochissimo anche sulle intercettazioni con Giovanni Peluso e sugli incontri di Riggio con altri soggetti di quali ha parlato al processo, presunti appartenenti ai servizi segreti.
Il 21 gennaio scorso, la Procura generale di Palermo ha richiesto alla Dia del capoluogo siciliano, di trovare tutto il materiale possibile, risalente dal 2000, al rapporto confidenziale tra Riggio indicato con i nomi in codice “Valanidi 2” e “Ugo” e gli ufficiali, oltre alle sentenze di condanna riportate dal collaboratore di giustizia.
La documentazione ritrovata conferma, per i pg, che Riggio aveva parlato di estorsioni all’epoca erano state organizzate nel Nisseno. Ma c’è anche un riferimento al progetto di attentato al dottor Guarnotta.
La Dia di Palermo, ha trovato materiale su quel rapporto dal 2000 con Riggio, in una carpetta dell’operazione “CrespuscoloUgo” del gennaio 2001. In quel periodo Riggio riferì alla Dia palermitana – come dimostrerebbero gli appunti – che c’era Maranto (uomo d’onore delle Madonie poi coinvolto nell’inchie – sta nissena “Doppio colpo” con Riggio, ndr) che vorrebbe fornire inerti alla zona Caltanissetta e allora “As” (che per il pg Fici sarebbe Angelo Schillaci) ha chiesto allo “zio” (indivi – duato per Bernardo Provenzano) di sapere e aspetta risposte.
Sempre in quell’appunto c’era la notizia che “As” (Angelo Schillaci di Campofranco) potrebbe incaricare “Ugo” di trovare le modalità di aggancio per Barrafranca e Gela per eventuali richieste di pizzo. Altro appunto non datato di Riggio, recuperato alla Dia, è quello dei “contatti diretti, Angelo Schillaci ha scritto allo zio che ha risposto di sì circa il suo inserimento in Cosa Nostra, in settimana sapremo se in zona Cl” e ancora “il professore vicino Bologna” che sarebbe Carmelo Barbieri, cugino di Riggio.
E ancora: un appunto non datato riguarda “Ferrara Vincenzo detenuto” ed è stata acquisita anche una relazione di servizio sull’incontro tra incontro Riggio e Peluso (indicato come soggetto dei servizi segreti deviati) di inizio febbraio 2001 per il quale venne attivato un servizio di verifica e pedinamento.
Al riguardo è stata trovata una dettagliata relazione servizio della Dia Caltanissetta che – siamo nel 2001 – riscontrò l’ar – rivo in pullman a Caltanissetta di Peluso, il suo incontro con Riggio, quando – disse il collaborante – doveva essere organizzato l’attentato al giudice Leonardo Guarnotta che in quel periodo presiedeva il Tribunale di Palermo che stava giudicando il senatore di Forza Italia, Marcello dell’Utri, imputato per mafia. Il pg Fici ha poi ricordato che sono stati trovati 10 appunti riservati sulla fonte “Marco”, che sarebbe Carmelo Barbieri, cugino di Riggio, risalenti al periodo tra il 20 ottobre 202 all’11 aprile 2003.
Barbieri nei 18 mesi precedenti era stato oggetto di valutazioni e di interlocuzioni della Dia di Palermo, «ma non abbiamo nulla di documentale, riguardo al rapporto», ha aggiunto il pg Fici aggiungendo «credo che serva una spiegazione del generale Pellegrini». Lo stesso Carmelo Barbieri – sentito nel dicembre 2018 dai magistrati di Caltanissetta alla ricerca di riscontri alle dichiarazioni di Riggio – ha detto che era stato raggiunto in carcere dal generale Pellegrini per la cattura del latitante Provenzano e un’altra circostanza si incontrò con altre due persone (per la cattura del latitante corleonese) che gli dissero “noi siamo lo Stato e non lo siamo”, frase che fece pensare a Barbieri ai servizi segreti deviati come li chiamava Riggio.
Infine, i riscontri trovati alle dichiarazioni di un altro collaboratore di giustizia nisseno, Ciro Vara, ex storico capocosca della zona del Vallone che nel 2000. Vara ha raccontato che il medico Giovanni Napoli – uno dei soggetti che si occupava della latitanza di Bernardo Provenzano a Mezzojuso e dove lo stesso Napoli portò il confidente Luigi Ilardo il 31 ottobre 1995, quando il boss corleonese non venne catturato, malgrado l’imbeccata – gli confidò che in occasione dell’arresto, nel 1998, riuscì a salvare parte del suo ingente patrimonio economico, comprese delle proprietà a San Vito Lo Capo, perché vennero riconsegnati alla sua famiglia i dischetti con file del suo computer che aveva preparato per fare avere proprio a Provenzano.
Ebbene, dai riscontri commissionati al Ros di Palermo, è stato accertato che quando venne arrestato Giovanni Napoli, in effetti i carabinieri prelevati non solo sette dischetti del computer di Napoli, ma anche tre telefonini e un rilevatore di microspia che il medico amico di Provenzano aveva in casa.
Nelle settimane scorse, due carabinieri che parteciparono all’arresto di Giovanni Napoli nel 1998, hanno ammesso che in effetti quel materiale informatico di Napoli non venne esaminato, mentre da una perizia affidata – un anno dopo – all’esperto Gioacchino Genchi,accertò che parte della memoria del computer di Napoli era stato cancellato e addirittura due telefonini furono restituiti alla moglie dell’arrestato. Quel materiale se analizzato, avrebbe potuto fornire elementi importanti per ulteriori indagini.
Ecco perché il pg Fici ha chiesto alla Corte di interrogare quei due carabinieri che hanno confermato, indirettamente, le notizie che aveva fornito il pentito Ciro Vara. Una richiesta alla quale si sono opposti i difensori degli imputati e sulla quale la Corte d’Assise d’Appello di Palermo deve pronunciarsi nella prossima udienza, tra una settimana