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La legge è uguale per tutti. Anche per Huawei

L’Italia è caratterizzata da un sistema politico a dir poco instabile: nel febbraio del 2021 ha giurato il 67esimo governo della storia repubblicana d’Italia, guidato dal nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi. Il nuovo Consiglio dei Ministri si trova a gestire sul fronte interno una crisi economica e sanitaria senza precedenti, ma verrà giudicato anche per le sue mosse in politica estera. Dopo anni di slogan beceri e strizzatine d’occhio verso i regimi autoritari, la rotta è cambiata: Draghi ha dichiarato nel suo discorso d’inaugurazione che “questo Governo sarà convintamente europeista e atlantista, in linea con gli ancoraggi storici dell’Italia: Unione Europea, Alleanza Atlantica e Nazioni Unite”.

Anche negli Stati Uniti d’America c’è stato da poco un cambiamento alla Casa Bianca, e si è passati da un inquilino fra i meno presidenziali della storia di Washington al più mite e avveduto Joe Biden. Il nuovo Presidente Biden si è già rivolto agli alleati per invitarli all’unità nell’affrontare i rapporti commerciali e diplomatici con la Cina – un approccio che segna un cambio di passo con la politica isolazionista praticata al grido di “America First” dall’amministrazione Trump.

Il motivo di maggiore frizione fra il governo americano e quello cinese, al momento, è la preoccupazione per i rischi portati alla sicurezza nazionale statunitense dallo sviluppo della grande azienda di telecomunicazioni cinese Huawei, che è stata fondata da un ufficiale militare e che ha molte connessioni – non del tutto chiarite – con i servizi segreti cinesi. L’alleanza transatlantica sembra tornata solida, dopo anni di populismo, e l’Unione Europea ha già risposto alle chiamate della Casa Bianca sulla necessità di trovare una linea comune per affrontare le controversie economico-politiche con il regime cinese. Non altrettanto solido è stato l’atteggiamento del governo italiano negli ultimi anni nei confronti della Cina.

Una delle preoccupazioni principali dei governi occidentali è il ruolo che Huawei vuole avere nello sviluppo delle infrastrutture 5G. Il governo italiano guidato da Giuseppe Conte ha cercato di ostacolare, su input americano, la possibilità per le aziende private di utilizzare Huawei come fornitore per la tecnologia 5G. L’Italia ha bloccato un accordo fra Fastweb e Huawei per la fornitura di infrastrutture, e la TIM, la principale compagnia di telecomunicazioni italiana, ha escluso Huawei dalla gara d’appalto per le apparecchiature 5G che l’azienda si sta preparando a costruire.


Parallelamente a questa linea strategica in sintonia con gli alleati atlantici, però, l’Italia ha preso qualche decisione inspiegabile dal punto di vista diplomatico. Nel 2019 Giuseppe Conte e il suo omologo cinese Xi Jinping hanno firmato un Memorandum of Understanding, e l’Italia è diventato l’unico paese del G7 a aderire alla strategia commerciale cinese internazionale ribattezzata Nuove Vie della Seta. Adesso starà al nuovo Presidente Draghi indicare le tendenze in politica internazionale. Certo, la conferma al Ministero degli Esteri di Luigi di Maio – già alla Farnesina nei due governi Conte e lì lasciato da Draghi -, che non ha mai nascosto le sue simpatie per il regime cinese, non sembra andare esattamente nella giusta direzione.

Nella percezione dell’opinione pubblica, il problema con Huawei nasce e si esaurisce con l’infiltrazione del colosso cinese nel mercato delle tecnologie 5G. Ma la faccenda è più ramificata di così. Si calcola che entro due anni il numero di strumenti aziendali e domestici connessi a internet sarà fra i 50 e i 70 miliardi. Questo fenomeno, noto come “Internet of Things”, porterà benefici incalcolabili sul piano dell’efficienza di trasporti e sanità, per esempio. Ma anche gli effetti negativi potrebbero essere devastanti: se tutti i device sono connessi a internet, si crea la possibilità per i malintenzionati – che siano privati o governi stranieri – di sabotare i servizi essenziali. In particolare gli ‘inverters’ dei pannelli fotovoltaici (il quadro elettrico che permette di trasformare la corrente continua generata dai pannelli in corrente alternata), sia quelli industriali che quelli privati, sono molto vulnerabili in caso di cyber attacchi. Sotto una pressione sempre maggiore di senatori e opinione pubblica, Huawei ha chiuso le sue attività negli Stati Uniti relative al business dell’energia solare..

L’Italia dovrà decidere da che parte stare in questa controversia. Il dibattito è in corso all’interno dell’Unione Europea ma saranno poi i singoli stati a prendere individualmente le decisioni e a dimostrare singolarmente la propria sensibilità sui rischi per la sicurezza nazionali legati alla presenza di Huawei sul proprio territorio. In base a quanto il Presidente del Consiglio Mario Draghi deciderà di tollerare lo sviluppo della tecnologia legata agli inverter fotovoltaici di Huawei in Italia, potremo giudicare il livello di solidità dell’alleanza che lega l’Italia agli Stati Uniti.

Per cercare di dimostrare la propria buona fede, il colosso cinese delle telecomunicazioni ha annunciato per il settembre del 2021 l’apertura a Roma di un Cyber Security Transparency Center, con l’intenzione dichiarata di rendere il più trasparenti possibili le proprie politiche. Il nuovo centro Huawei sarà aperto ai clienti e alle organizzazioni governative e indipendenti. Queste intenzioni però non sono del tutto sincere, come ha dimostrato un’aggressiva campagna social di disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica iniziata proprio da Huawei un paio di mesi fa in Belgio.

Dopo le incertezze e lo zigzagare delle due legislature Conte, adesso l’Italia ha l’opportunità con Mario Draghi di rimettersi nel suo posto naturale all’interno dello scacchiere internazionale, di fianco ai suoi storici alleati, e di regolamentare le azioni di un’azienda come Huawei, sulla quale gravano dubbi molto pesanti. Finché questi dubbi non verranno chiariti, non si potrà lasciare a Huawei carta bianca sulle sue attività in Italia.

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