Il percorso di accettazione di status di vittima di violenza, per una donna, è sempre molto lungo e faticoso non soltanto fisicamente ma anche – e a volte soprattutto – psicologicamente.
Entrate nella spirale della denuncia e dell’allontanamento dal proprio domicilio e, conseguentemente, dell’aggressore, la donna inizia un percorso di rinascita. Una strada che, talvolta, percorre insieme ai propri figli, anch’essi vittime di un ambiente intriso di paura, odio e violenza.
Tale iter è orientato a far conquistare all’ex vittima
una totale gestione del proprio stato emotivo e di una completa autonomia
economica. Raggiunti questi due traguardi la donna potrà lasciare la casa
rifugio a indirizzo segreto per potersi trasferire in una propria abitazione
nella quale ricominciare, in modo sano, la sua vita.
Un progetto meraviglioso che, purtroppo, spesso si scontra con la lentezza e le assurdità burocratiche. Alle donne, infatti, nella prima fase del loro percorso, viene assegnata una borsa lavoro dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un’agevolazione che consente di intraprendere percorsi specializzati di orientamento professionale e inclusione lavorativa soprattutto per chi non ha mai lavorato. Non è insolito, infatti, che l’uomo maltrattante isoli la sua vittima impedendole pure di andare a lavoro.
Ai ritardi burocratici di erogazione dei fondi, ai quali purtroppo le cooperative sociali e le imprese si sono dovute abituare, si sono aggiunti quelli causati dalla pandemia.
Smart working, lockdown e, per ultima, la crisi di governo ha totalmente immobilizzato il sistema causando gravi danni economici sia alle aziende sia alle donne.
“Non è possibile accettare che la burocrazia crudele possa distruggere la nostra vita e la vita delle nostre donne – ha protestato il presidente della Cooperativa sociale Etnos Fabio Ruvolo in un’accorata lettera scritta lo scorso 9 ottobre e indirizzata all’allora ministra Bonetti -. La nostra realtà da oltre 5 anni dedica anima e corpo alla protezione delle donne e minori vittime di violenza. Abbiamo accolto oltre 300 donne in questi anni e molte delle quali hanno raggiunto un ottimo livello di autonomia grazie a percorsi specializzati di orientamento professionale e inclusione lavorativa. In questo momento abbiamo attive oltre 15 borse lavoro che stanno agevolando il percorso di riconoscimento di dignità e autostima, valori che la violenza ha completamente annullato. Non possiamo più accettare il ritardo per cambi di uffici, di dirigenti, di capi dipartimento o altro”.
Le prime somme, come acconto del 30% pari a 72.000 euro, dovevano arrivare ad ottobre 2018 e, invece, sono arrivate, in seguito alla lettera inviata alla Ministra, soltanto il 23 ottobre 2020 dopo oltre un anno di attesa.
A questa situazione si è aggiunta la difficoltà di trovare delle realtà capaci di accogliere le donne nel percorso di inclusione. Le aziende in crisi perché senza clienti e fatturato, le attività chiuse sulla base delle indicazioni della zona “rossa” o “arancione”, le misure di distanziamento fisico e gli ingressi contingentati negli ambienti hanno reso ancora più complessa l’individuazione di imprese disponibili ad accogliere le donne per svolgere attività formativa e lavorativa.
“Trovata l’azienda, il sistema si rallenta ulteriormente perché gli uffici preposti all’autorizzazione per l’avvio delle borse lavoro, lavorando in smart working non riuscivano a esitare in tempi congrui le richieste pervenute” ha spiegato Ruvolo.
Una “corsa contro il tempo” che non è stata vinta perché la cooperativa, destabilizzata da tutti questi impedimenti e carenze di informazioni dal Dipartimento delle Pari Opportunità, ha presentato in ritardo la proroga del progetto “La Rosa dei Venti” destinato al reinserimento delle donne vittime di violenza. La mancata proroga porterebbe al mancato completamento di 5 borse di lavoro avviate per altrettante vittime. I funzionari del Dipartimento ci hanno spiegato che la Corte dei Conti non consentirebbe la proroga. Ma il ritardo di 1 anno dall’erogazione dell’acconto di contributo, il ritardo nell’avvio delle borse lavoro non sono da considerarsi gravi?
Lo Stato deve tutelare i nostri diritti e i diritti di chi si affida alle istituzioni e associazioni per uscire dalla condizione di violenza e di non vita – ha proseguito Fabio Ruvolo -. Non possiamo più accettare di sentirci dire che è la burocrazia e nulla si può fare, non si può accettare assolutamente. Qui abbiamo la vita delle donne che si sono rimesse in gioco per recuperare rispetto e dignità e non si può più tollerare alibi così bassi e privi di senso che ci stanno facendo sprofondare nell’abisso oscuro della rassegnazione”.
Il presidente Ruvolo, insieme a tutti gli operatori delle realtà coinvolte è pronto a passare dalle parole ai fatti e scendere nelle piazze e – nel rispetto delle regole imposte dalla pandemia – urlare a gran voce il suo dissenso.
“Non possiamo continuare ogni giorno a dare speranza alle nostre donne, ai professionisti che lavorano quotidianamente per dare questa speranza. Basta, è un’ingiustizia!”
Al danno, infatti, si aggiunge anche la beffa poiché il presidente di Etnos sottolinea che non si tratta di un mancato reperimento dei fondi ma, peggio ancora, di mancata autorizzazione all’invio: “I soldi ci sono, sono stanziati nei capitoli di bilancio. Noi, così come tutte le altre imprese e cooperative d’Italia che operano in questo settore, ci stiamo indebitando in maniera indescrivibile per garantire il reddito alle donne in borsa lavoro e credo che adesso stiamo toccando il fondo”.
I referenti del progetto, correndo per inseguire telefoni che squillano a vuoto e mail senza alcuna risposta hanno finito per perdere di vista ciò che è veramente importante, l’invio della proroga avvenuta il 30 settembre 2020 invece che il precedente 9 agosto. La “destabilizzazione” dovuta al Covid – 19, in sintesi, è stata soppesata con due differenti modalità facendo propendere a sfavore delle vittime.
“Adesso la crisi politica ha determinato che nessuno può firmare l’eventuale proroga perché non è stato nominato il Capo Dipartimento. Il progetto sta davvero determinando un’importante svolta nella vita delle donne coinvolte – ha concluso – e mi rammarica che tale dimenticanza nell’invio della comunicazione nelle modalità e nelle forme previste dalla Convenzione, possa determinare la conclusione dei servizi, soprattutto in questa fase ancora così instabile.
Non possiamo morire avendo creduto ad uno Stato di diritto, ad uno Stato che dice NO alla Violenza sulle Donne, non si può più cadere nella becera demagogia dello Stato che salva”.
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