Crediamo che la nostra città sia sicura. Usciamo la sera con la nostra comitiva di amici, ci attardiamo fino a notte fonda perché, tanto, l’indomani non si lavora o non si va a scuola. Eppure, dietro l’angolo, quello più buio e isolato, potrebbe celarsi un pericolo.
Parlare, raccontare e denunciare le violenze e le molestie sessuali subite è fondamentale per consentire alle istituzioni e alle forze dell’ordine di intervenire e garantire la sicurezza e il benessere dei cittadini.
“Molto spesso ci troviamo a parlare con donne che ci
confessano di avere avuto paura a parlare subito – ha spiegato Valentina
Matraxia, avvocata del Centro Antiviolenza di Caltanissetta -. Non si
precipitano a raccontare la loro storia pensando che in fondo <<se la
sono cercata loro>> e, magari, anche <<un po’ meritato>> perché
erano vestite in modo provocante o erano fuori, in giro, a tarda notte”.
Niente di più sbagliato perché questi, sottolinea l’avvocata, sono reati punibili dalla legge.
“Vittime” e “carnefici” devono essere ascoltati, supportati e, nel caso di reato, anche puniti con pene certe.
Ad avere, finalmente, il coraggio di parlare è stata un’altra ragazza, Morena Scalzo, e lo scenario è sempre il centro storico, quella strada che dalla “grande piazza”, antico fulcro della vita cittadina, prosegue fino alla “Prefettura”.
“L’estate scorsa, un sabato notte, il mio fidanzato mi ha riaccompagnato a casa lasciandomi davanti al portone e attendendo che io salissi. Dopo aver superato la porta di casa, però, mi sono ricordata di aver lasciato il caricacellulare in macchina e, di corsa, sono nuovamente tornata giù. In strada non c’era più il mio fidanzato ma, da lontano, ho notato un ragazzo che, vedendomi, ha cominciato a correre verso di me. Terrorizzata da quel giovane che poteva avere circa la mia età sono scappata via e sono riuscita a chiudere l’anta del portone dietro di me”.
A quel punto, però, come accade a molte vittime di molestie e abusi sessuali, la paura ha preso il sopravvento e la ragazza è rimasta inerme, pietrificata.
“Davanti a me, separati solo dall’anta di vetro trasparente, quel giovane ha continuato a fissarmi con il suo sguardo voglioso, si è sbottonato i pantaloni e ha avuto un amplesso completo – ha proseguto Morena -. Mi incitava a guardarlo, a provare piacere insieme a lui. Io piangevo, provavo disgusto per quel gesto ma anche terrore per quell’uomo che, soltanto per pochi secondi, sono riuscita a lasciarmi dietro la porta”.
“Molto spesso, davanti a una violenza sessuale o una molestia che non presuppone un contatto fisico tra i due, la reazione della donna è quella di rimanere inerme senza alcuna forza per muoversi, scappare o urlare – ha continuato l’avvocata -. Una risposta che rientra nell’assetto psicologico traumatico di tutta la vicenda poiché l’evento vissuto è così sconvolgente che il corpo non riesce a trovare un adeguato stimolo reattivo”.
Il “rimanere pietrificata”, il “non essere scappata via”, l’essere “rimasta a guardare” vengono, però, considerate come delle “colpe” da parte della vittima e, purtroppo, ancora anche dalla cultura della società che ci circonda. Il timore dei pregiudizi della gente che potrebbero far sentire la donna “colpevole di qualcosa” sono più forti del dovere morale e legale di denunciare la molestia. Ed è proprio questa cultura che è necessario combattere e contrastare per consentire alla vittima di superare il trauma e denunciare l’aggressore.
La ragazza ha concluso il suo racconto con la voce tremula, rallentata ancora dall’angoscia di quel ricordo, sottolineando che ancora oggi non riesce a scendere da casa da sola, neanche per andare a buttare la spazzatura. Quegli occhi, unico ricordo di quella molestia subita, continuano ancora a tormentarla.
“Ancora oggi continuo a chiedermi cosa sarebbe successo se, correndo, avessi inciampato cadendo per strada o se lui fosse stato più vicino, più veloce di me – ha raccontato la giovane -. Mi chiedo cosa sarebbe successo se mi avesse veramente raggiunta, afferrata, presa con la sua forza bruta. Mi chiedo cosa sarebbe successo in me se quella molestia sessuale si fosse trasformata in violenza fisica”.
“Il Centro Antiviolenza è sempre aperto per tutte le donne che desiderano venire a raccontare la loro vicenda – ha proseguito Valentina Matraxia -. Non giudichiamo ma ascoltiamo, consigliamo, confortiamo. Lo facciamo rispettando l’anonimato della donna senza pressarla in alcun modo. E poi aiutiamo a ritrovare la serenità e la pace interiore. Molto spesso questo avviene dopo aver avuto il coraggio di denunciare l’aggressore e assicurarsi che non faccia più del male né a loro né ad altri”.
Il Centro Antiviolenza, le associazioni a sostegno delle donne e la Polizia invitano le donne a non vergognarsi mai per quello che hanno subito perché “non è colpa loro”. Bisogna avere il coraggio di reagire e agire, di parlare perché solo così le forze dell’ordine potranno intervenire su questi atti che non vanno mai sottovalutati poiché si tratta di reati perseguibili a querela della persona offesa.
Per richiedere aiuto e contattare il Centro Antiviolenza di Caltanissetta è possibile chiamare lo O934.551010 oppure il 380 192 9687.
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